18 marzo 2011

Ma la solitudine del vino, per favore, quella no

Angelo Peretti
Non conosco Fabio Pracchia, salvo averlo forse incrociato occasionalmente. Gli riconosco peraltro un merito: quello d'animare con le sue riflessioni Slowine, il sito "enoico" di Slow Food, di cui è caporedattore. Lo seguo volentieri. E con questo non voglio dire d'esser sempre d'accordo con lui. Per esempio, non sono d'accordo con la visione del vino che ha espresso di recente in un pezzo titolato: "Il miglior matrimonio tra cibo e vino? La separazione". Dice: "Esiste l'abbinamento perfetto? Probabilmente un bravo sommelier è capace di voli pindarici nel cercare l'equilibrio tra vino e piatto. Invece le accolite di appassionati di vino, tra i quali ci sono anche io, stappano memorabili annate in serie senza pensare nemmeno che tipo di cibo possa accompagnarsi a tali nettari". E poi: "Credo che i grandi vini possano volare da soli, senza piatti prelibati, ai quali va comunque tutto il mio rispetto, ma solo se compresi nella loro unicità ed essenza. Questa per me è la celebrazione di una grande bottiglia".
Ecco, non sono d'accordo, perché - l'ho già detto altre volte, e l'ho ribadito di recente qui su InternetGourmet - per me il vino nasce per il cibo, ed è col cibo che s'esprime. Certo, se la mettiamo sul piano della ricerca dell'abbinamento "perfetto", be', allora concordo: son cazzate. Nel senso che non mi va che il mangiare e il bere diventino motivo d'intellettualismi razionalistici: non sono una scienza esatta, ed anzi è il gusto personale che deve prevalere. Ma non ho dubbi: il vino lo capisci appieno col cibo. Altrimenti si rischia di nuovo di tornare nel campo del cerebralismo. Eppoi non ho dubbi: un bel vino sta praticamente con tutto, escluso il dessert. Ci sarà un abbinamento che ti convince di più, un altro che ti va di meno, un altro ancora che proprio non t'aggrada. Ma è lì, a tavola, col cibo il luogo dove il vino esprime compiutamente se stesso.
Questo non vuol dire che un buon vino non lo si possa aprezzare anche "stand alone", da solo, senz'accompagnamento mangereccio. Ci macherebbe altro! Vivaddìo, la piacevolezza mica per forza deve passare per la tovaglia. E dunque ben venga condividere una buona bottiglia, accompagnandola con la conversazione, il confronto, l'incontro. Ma insisto: questa condivisione meglio s'esprimerebbe - ma è parer mio - condita con la convivialità, con lo spezzar d'un pane e lo sbocconcellar d'un formaggio, se proprio non con una cena. Se si può, niente solitudine del vino.
Mie opinioni, ovviamente. E comunque seguiterò a leggere con interesse il sito del vino della chiocciolina.

2 commenti:

  1. A mio avviso dobbiamo fare una netta separazione del discorso e dividerlo in due momenti :
    a ) il vino in degustazione per una guida o per un concorso, per forza di cose non lo accosti a nulla ;
    b ) il vino che tutti i giorni metto in tavola lo abbino a quello che mi capita, cercando di seguire una logica. Per estremizzare :
    non stapperò un amarone se ho per pranzo/cena del pesce bollito ecc.
    Quindi credo che alla fine siano piu' che validi tutti e due i ragionamenti, fatto salvo anche per me che tengo sempre distinti l'aspetto tecnico/professionale dove il vino si sputa, da quello quotidiano dove uno o due bicchieri di vino a pasto sulla mia tavola non mancano mai da 30 anni a questa parte, possibilmente che sia di buona/ottima qualità.

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  2. Roberto, la tua distinzione ci sta. Ma la posizione di Fabio su Slowine non è né l'una, né l'altra.

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