17 marzo 2011

Ma un vino dell'unità d'Italia per fortuna non c'è

Angelo Peretti
Qualche tempo fa, Franco Ziliani scriveva su questo mio InternetGourmet un pezzo in merito al vino dei 150 anni dell'unità d'Italia voluto dalle Città del Vino. Una trovata, 'sto vino unitario, che anch'io ritengo completamente inutile e per di più retoricamente fastidiosa. Ho letto peraltro qui e là che c'è pure chi s'è sbizzarrito a far sondaggi su quale sia il "vero" vino dell'unità nazionale, e i più hanno indicato come emblema il cavouriano Barolo. Ora, lasciate che in questo 17 marzo celebrativo del secolo e mezzo dell'Italia dica pure io la mia sul vino nazional-unitario. E la mia è questa: grazie al cielo un vino che rappresenti l'unità d'Italia non c'è. Sì, grazie al cielo, perché se c'è una cosa che fa bella l'Italia è il suo essere la terra dei cento, dei mille campanili, e dei cento e dei mille formaggi, dolci, vini, frutti, e delle cento e mille lingue, culture, tradizioni, usanze. Ecco: è questa la bellezza dell'Italia, quel che la rende unica al mondo. Magari difficilmente gestibile, certo, ma irripetibile. Sissignori. Valorizziamola, la diversità!
Credo fermamente nel principio di sussidiarietà, quello secondo il quale prima di tutto viene la persona e poi le aggregazioni via via crescenti delle persone - la famiglia, le associazioni - e poi gli enti locali, e poi quelli sovralocali, e poi le istituzioni nazionali e poi quelle internazionali, in una specie di continua successione di cerchi concentrici nei quali tuttavia il più importante non è quello più ampio, bensì quello che viene subito prima. E il cerchio superiore interviene solo quando quello inferiore non può autodeterminarsi, non può insomma essere in grado di arrangiarsi da solo. Teoricamente, anche l'Italia i padri costituenti l'hanno concepita così. Teoricamente.
Ebbene, se credo in questo principio, come posso non essere sostenitore di quelle meravigliose diversità che vengono dai territori, dalle comunità di persone, dalle persone stesse? E nel mondo del vino, come posso non pensare che la bellezza stia nella splendida diversità di ciò che i francesi chiamano terroir, che prima di tutto si basa sulle persone e sulle comunità delle persone?
Nossignori: neppure se mi pagassero oggi stapperei uno pseudo-vino dell'unità nazionale. Scenderò invece in cantina a prendere qualche bottiglia a caso fra quelle provenienti dalle più diverse zone di questa multiforme Italia. Magari un rosso da uve langarole di nebbiolo insieme a un bianco avellinese fatto col fiano e ad una bolla lambruschista emiliana e ad un sangiovese toscano e ad un passito siciliano, chissà. Sì, ne prenderò alcune a caso, ché casualmente son finite insieme sulle scansie. E festeggerò a mio modo, brindando all'imperfetta bellezza della diversità italiana.

1 commento:

  1. I miei complimenti! Non può e non deve essere un vino a rappresentare l'ITALIA, bensì tutti i vini della nostra splendida terra.

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