22 novembre 2011

Trentinità e discese ardite

Angelo Peretti
Ha fatto discutere, qui e anche altrove, un mio intervento di qualche giorno fa sulla trentinità del vino. In estrema sintesi, dicevo che la mia impressione è che i vignaioli trentini, pur avversando le scelte massive della cooperazione locale, ne abbiano in realtà di fatto sposato la linea filosofica, che è più fondata sulla qualità enologica - che è oggettivamente alta - che non sulla ricerca identitaria, che non sulla trentinità, appunto. Solo un'impressione, sia chiaro, ma mi pareva giusto esprimerla, e mi pare che, come ho detto, se ne sia parlato.
Ora, dovrei invece dire cos'è che vorrei trovarci in un vino trentino per poterlo riconoscere come tale. La risposta è che non ho una risposta. Nel senso che prima dovrei meglio approfondire, e magari passare qualche frequente e bella ora intorno a un tavolo stappando bottiglie - mica solo trentine - coi vignaioli tridentini, parlando e conversando - e parlando mica solo di vino, ché la cultura del terroir non è, appunto, solo vinicola ed enologica, ma è prima di tutto umanistica e umana - e chissà che non ci sia occasione di cominciare a confrontarsi davanti a una serie di bicchieri.
Detto questo, però, e rischiando per passare per velleitario e forse anche per visionario, butto lì che in un vino trentino mi piacerebbe trovarci quella frase che cantava Lucio Battisti. La canzone era "Io vorrei... Non vorrei... Ma se vuoi..." e mi strapiace quando evoca "le discese ardite e le risalite ". Ecco, è così che me l'immagino un vino trentino ideale, e cioè fatto di discese ardite e di risalite e anche di "verdi terre", che è un'altra citazione della stessa canzone. Perché il Trentino è così: ha montagne e cime e valli e fiumi e verde. Dunque, il vino trentino vorrei che gli somigliasse, in qualche modo, e che dunque portasse dentro alla bottiglia una qualche idea della dinamicità geografica del territorio di cui è figlio. Ma questa dinamicità dovrebbe non essere "solo" quella di una vallata o di un tal territorio o di un certo vitigno, ma piuttosto la sognerei come qualche cosa di comune e trasversale a tutte le zone e a tutti i vitigni della provincia. Prescindendo anzi dalla zona e dal vitigno. Un filo conduttore che mi faccia immediatamente percepire che quello che ho nel bicchiere è un vino trentino e può essere solo un vino trentino.
Detto così so che è criptico. E me li vedo quelli che scuotono la testa. Allora faccio un esempio, e magari più avanti ne farò altri, proponendo vini che questa dinamica del Trentino me l'abbiano evocata.
Il primo esempio è un rosso del 2008, un Merlot, il Rocol di Borgo dei Posseri. Ecco, questo qui è a mio avviso un vino che "sa" di trentinità, o almeno di quella parvenza di idea di trentinità vinicola che vado cercando. Un vino dinamico. Il vino dell'annata precedente, quella del 2007, era descritto da Slow Wine come "un Merlot atipico". Vero, verissimo, se lo prendiamo come Merlot e lo confrontiamo con gli altri Merlot italici, densi di frutto concentrato e morbidi come il velluto, questo è un Merlot atipico. Ma se lo vediamo invece come un rosso trentino (a prescindere che sia fatto col merlot), be', allora per me è proprio tipico. Perché ha dinamicità ed è anzi un continuo e intrigante saliscendi di frutto mai saturo e di spezia e di freschezza. Ha discese ardite e risalite, insomma. Ed è trentino, dunque, almeno per me.
Vigneti delle Dolomiti Merlot Rocolo 2008 Borgo dei Posseri
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

1 commento:

  1. chi ci crede e non lo sbandiera, colpisce. e lascia una traccia. chiamala se vuoi anima. vai martin ( e margherita) che il bere e' quello giusto. buoni pensieri. non solo con l'a-merlot.

    RispondiElimina