26 novembre 2011

Vini e cornici

Angelo Peretti
La frase è di Emil Cioran: "Di molte persone si può affermare quanto vale per certi dipinti, cioè che la parte più preziosa è la cornice". Ne sono venuto a conoscenza dalla citazione che ne ha fatto monsignor Gianfranco Ravasi su un'edizione agostana della Domenica del Sole 24 Ore. Leggendola, m'è venuto immediatamente alla mente il parallelo con certi vini e certi produttori.
Nel nome del marketing esasperato, dell'ossessiva ricerca dell'affermazione sul mercato internazionale, a partire dalla fine degli anni Ottanta, e poi per tutti e due i decenni successivi, ed ancora adesso, un'orda di parvenue ha assalito il mondo del vino, portandovi stili di vita e comportamenti aziendali che col lavoro della terra non hanno a che fare. E tanti vignaioli li hanno imitati, cercando il successo immediato, il profitto che arricchisce con rapidità, e ti permette di costruire la cantina nuova finto antica, coi dipinti sui muri e i mattoni che sembrano vecchi, e di comprarti il macchinone e di vestire griffato da vigneron radical chic. Ci si vende per poco, alla fin fine, se l'apparenza è quel che conta. Ma ecco, questa gente somiglia oramai a un dipinto la cui parte più preziosa è la cornice, e dentro c'è il vuoto dei valori della terra o una loro copia malamente artefatta.
Così è per i vini stessi. Consulenti di grido, tecnologia ostentata, lieviti selezionati, etichette d'autore, bottiglie pesanti quanto mai: tutto questo è cornice e tanto spesso conta molto, molto più del vino che sta nella bottiglia, costruito in fotocopia perché si venda in America o chissà dove o perché piaccia alle guide, fregandosene dell'identità, del territorio, del terroir. Vini cornice, perché è così che si vuole il vino da parte di chi ha in mente solo il guadagno. Ci mancherebbe: guadagnare è bene, è necessario. Ma se si tradiscono i valori della terra e della vigna poi non si abbia anche l'ardire di definirsi vignaioli.

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