20 febbraio 2012

Le foglie secche del vino

Angelo Peretti
Non è facile leggere i filosofi. Hanno quei loro ragionamento così profondi che costa un sacco di fatica a cercare di capirli, e dopo non sei neanche sicuro di averli capiti. Però resto a bocc'aperta davanti ai ragionamenti dei filosofi: ne sanno di cose, oh, se ne sanno. Così a volte basta comprenderne un pezzetto dei loro ragionamenti, ed ecco che ti si aprono prospettive nuove.
Ci pensavo leggendo - tentando di leggere - sabato scorso il lungo articolo di Emanuele Severino, che è filosofo, appunto, sulle pagine della cultura del Corriere della Sera. Titolo (impegnativo): "La decadenza del capitalismo ridotto come una foglia secca" (il titolo è cliccabile: se volete, potete andare a leggervi l'intero scritto on line). E sotto: "Vorrebbe dominare il mondo ma è sottomesso alla tecnica". Bene, questa è la chiave di volta del pensiero espresso da Severino.
Nel testo, il filosofo dice a un certo punto: "Chi è estimatore di ciò che serve alla sopravvivenza del capitalismo - o delle altre grandi forze del vecchio mondo - e agisce sulla base di quelle diagnosi è il servitore di un cadavere. Il che non esclude che le sue azioni possano essere utili, e perfino molto utili, a imbalsamare le foglie secche, tenendole attaccate ai rami ancora per un po', e perfino per un bel po' - ma in tal modo ritardando la trasformazione a cui il mondo è destinato".
Ecco, questa stessa frase la potrei dire dell'agroalimentare, e in particolare - ma non solo - del vino. Sto leggendo e sentendo tante cose sull'attualità e sul futuro del vino. Per lo più utili nel breve se non nel brevissimo periodo. Toppe messe sul copertone forato. Ma mi pare che non si colga o non si voglia cogliere il cambiamento in atto. Si continua ad agire sulla scorta di logiche che appartengono ad un mondo che non c'è più, o che si appresta a non esserci. Tutto è cambiato, o quanto meno sta cambiando: occorre che le diagnosi partano da qui, non sull'inutile tentativo di conservare quanto non è più o si appresta a non esserlo. Bisogna prenderne atto. Altrimenti si agisce come degli imbalsamatori di cadaveri.
Coraggio.

4 commenti:

  1. Ohibò Angelo!
    Questa paventata apocalisse m'inquieta...
    A beneficio dei relativamente giovani come me, illumina cotanto spavento, se puoi...
    :):):)

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  2. Non è un'apocalisse, Marco. Si tratta di una trasformazione strutturale. Molti sono convinti che si tratti solo di congiuntura, ma non è così. Probabilmente dovremo abituarci a convivere con una lunga fase recessiva, come quella che attraversa il Giappone da più di vent'anni. Vuol dire che staremo peggio? No, vuol dire che staremo diversamente. Si apriranno nuove opportunità, se ne chiuderanno di vecchie. Per chi è pronto al cambiamento, questo potrà essere un grande periodo. Gli altri si estingueranno, com'è logico che sia nelle grandi trasformazioni.

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  3. Alessandro Franceschini6 marzo 2012 alle ore 01:23

    Quello della sottomissione alla tecnica è un tema ricorrente in Severino e in molti studiosi, specie dei prolifici anni 60/70. Ed hai ragione nel dire che è un tema centrale, oramai vecchio, ma sempre attuale. Circa la difficoltà di leggere i filosofi, c'è da dire che hai preso come esempio uno dei più tosti. Forse l'unico, vero, "classico" filosofo italiano esistente.

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  4. Alessandro, concordo su tutta la linea.

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