25 agosto 2009

Durello e Blanquette: due maniere di intendere la modernità

Angelo Peretti
La mia "bottiglia stappata" di ieri su InternetGourmet era una Blanquette de Limoux: bollicina francese della Languedoc.
Riprendo l'argomento perché lo trovo un interessante punto di riferimento in una certa discussione che s'è avuta su questo web magazine nelle scorse settimane: quella sul Durello, bollicina autoctona veronese. E le similitudini fra il caso della Blanquette e quello del Durello mi sembrano parecchie.
Nodo del contendere è stato questo: ma il Durello ha ancora un'identità? Oppure, nel cercare d'assecondare il cosiddetto "mercato" (termine vago: quale mercato? credo non ce ne sia uno solo, ma l'argomento è complesso), se n'è persa di vista l'essenza?
Ecco, credo che sì, un po' la via sia stata smarrita. E capisco che i produttori abbiano anche cercato di andare incontro alla moda corrente, e dunque il Durello abbiano provato ad ammorbidirlo, magari facendo cuvée con lo chardonnay, o anche con un po' di residuo zuccherino in più. Ma il rischio era ed è quello di fare una copia neppure tanto riuscita del Prosecco. E la portaerei prosecchista, coi suoi milioni e milioni di bottiglie, è inutile giocare ad imitarla: ti annienta, ti annichilisce, ti schiaccia.
Tanto varrebbe, allora, provare ad affermare una precisa identità. Tornando a dare riconoscibilità al Durello. Avendo il coraggio di far marcia indietro, rivalorizzandone il carattere scorbuticamente montanaro, e quella sua tagliente acidità che oggi, guarda caso, sta riscoprendosi come un valore.
Con la Blanquette de Limoux è accaduto proprio questo: quel che sembrava un difetto - la sua nervosa, scontrosa freschezza verde e citrina - oggi è una carta vincente. Al punto che questa negletta bolla francese s'è cominciato perfino a importarla in Italia, e a vederla addirittura servita come aperitivo nei ristoranti stellati, al posto delle (care, in tutti i sensi) bollicine di Champagne. Ha premiato la coerenza, l'identificabilità, la personalità. E il saper interpretare la modernità non già come ossequio al "mercato", bensì come territorialità offerta a prezzo convenientissimo.
Lo si potrebbe fare, ritengo, anche col Durello. L'uva c'è, il territorio pure, il sapere locale idem, storia fin che si vuole, e quanto al prezzo, quello è centratissimo già adesso.

11 commenti:

  1. Condivido in pieno l'articolo di Angelo. Impariamo dai francesi come si fa a preservare l'identità di un prodotto, a scapito delle mode: l'onestà produttiva, alla fine, viene sempre premiata. Anche se il tuo prodotto non è famoso come lo Champagne o non fa i numeri del Prosecco. Il Durello ha tutte le potenzialità e le qualità per essere il Blanquette nostro.

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  2. Sono totalmente d'accordo con te, Angelo. Da appassionata del Durello quale sono da sempre, avevo iniziato ad avvertire una certa "deriva prosecchista" già alcuni anni or sono. Allora la cosa sembrava limitata ad una o due aziende, ora pare che la tendenza si espanda...sarebbe la fine del Durello. Una fine stupida e inutile, tra l'altro : mezzo milione di bottiglie/anno (tante al momento se ne producono) non sono un numero tale da giustificare arzigogoli produttivo-commerciali. Sono i numeri di una nicchia. E dunque che faccia la nicchia, e non l'imitazione di qualcosa contro la quale non ha senso scontrarsi.

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  3. Sono d'accordo con te Angelo. Da produttore di durello quale sono, spesso mi confronto con durelli totalmente diversi dal mio e i clienti mi chiedono "ma il tuo è durello". In effetti il mio vino è una spremuta di uva durella in purezza che fermenta con propri lieviti e, dopo un anno di affinamento sulle fecce del vino fermo parte la presa di spuma che solitamente ha una base con 10 di acidità totale. Mio padre e alcuni amici enologi mi sconsigliano di utilizzare queste basi, veramente difficili poi i vini che vi escono. Io lo sto vendendo bene e, quando lo propongo non lo paragono mai ad un prosecco in quanto, l'aromaticità del prosecco certamente non c'è e soprattutto il mio supmante è dosaggio zero, niente a che vedere con i tanti prosecchi extra dry.
    Io continuerò su questa strada, e amici bevitori finora mi hanno sostenuto e premiato.

    Stefano Menti

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  4. credo che se c'è un vino anarchico,a pieno titolo,lo meriti il Durello,un vino che NON vuole compromessi.
    Mi domando,perchè non fare emergere,stilare,un elenco
    delle aziende meritevoli che lo producono in purezza?
    Produrre un Durello,che vada incontro al mercato fa
    solo comodo per fare busines, e proporre un prodotto
    per un altro, perchè non rispetta le caratteristiche
    del vitigno, che è e deve essere la carta vincente.

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  5. Vedo che il dibattito sul Durello prosegue: bene, vuol dire che c'è interesse, c'è spazio. La testimonianza di Stefano e l'idea di Lino mi piacciono. Credo che il futuro del Durello lo si possa e debba giocare sulla personalità, sul carattere, e dunque sull'uva durella in purezza, sulla sua rusticità quasi indomabile, sulla freschezza anche tagliente, sui dosaggi a zero o vicino allo zero. Se ne potrebbe ottenere un prodotto pressoché unico nel territorio nazionale. Credo che su questi argomenti ci torneremo su.

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  6. Sono completamente d'accordo a metà con Angelo :-). Insomma, capisco che sia difficile, che fare nomi e cognomi costi poi patire inimicizie e piccole grandi ritorsioni, ma non accetto un punto di partenza della discussione generalista del tipo: "Si è vero il Durello si sta prosecchizzando". Chi lo sta prosecchizzando? O peggio ancora chi lo sta svilendo con bottiglie che di durello non hanno più nulla e vengono vendute a 1,80 euro? Perché questo è il vero guasto della denominazione, che va combattuto. E allora miei cari esperti di vino, fateli questi nomi, anche se poi correte il rischio che tizio o caio vi tolga il saluto e che sarà mai?
    E allora parto io: a me piace molto Marcato e l'avoluzione che fatto negli ultimi anni. Mi piace molto il Metodo tradizionale 36 mesi, che è vero ha un po' di pinot nero, ma ha struttura, eleganza e lunga vita. Mi piace molto anche la versione millesimata che se ne sta in cantina 6 anni, complessa in bocca pur se equlibrata al palato e anche questa da lunga vita (ho bevuto varie bottiglie del 1995/96). Il Brut charmat, pur nella sua semplicità fa la barba praticamente a tutti i prosecchi pari linea e anche superiori per prezzo e lignaggio. Ottimo in estate, a prova cerchio alla testa il giorno successivo se si esagera.
    Mi piace molto la Riserva etichetta nera di Fongaro, anche qui 36 mesi sui lieviti, ma in purezza, un vino intrigante, forti profumi, non facile, ma che mi ha stregato. Mi piace anche la più semplice Gran Couvee che strizza l'occhio allo Chardonnay, ma con onestà intellettuale senza snaturare nulla.
    Bevo con grande soddisfazione anche il metodo classico di Cecchini e sono convinto sia una bolla di lunga durata anche questa (avrete capito che le bolle vecchie mi piacciono).
    E veniamo alle note dolenti: non mi piacciono il Durello della cantina dei Colli Vicentini, quello quello della Cantina di Monteforte d'Alpone e quello della Cantina di Gambellara (mi chiedo, sono veramente Durelli? fanno onore alla denominazione? ma è un giudizio personale, mi perdoneranno gli interessati, di vino mi intendo poco). Un tempo mi piaceva il Durello della cantina di Montecchia, oggi non più, idem come sopra.
    Vabbè sono stato lungo, ma questo per dire che c'è chi lavora bene, fa onore al Durello, al punto da fare ombra, questo è il mio parere alla Blanquette de Limoux e c'è chi punta a conquistare i discount in Germania a tutti i costi. Non generalizziamo e viva il Durello.
    Alberto Tonello

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  7. il rischio che può correre il Durello, è che se alcuni spumantisti,scoprono la Durella,ve la sequestrino tutta,
    perchè può esserela medicina naturale per dare longevità
    carattere e personalità, ai propri prodotti.
    Non vuole essere un avviso,ma è come se lo fosse.Auguri

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  8. @Alberto. Apprezzo la tua franchezza nel "fare i nomi". Credo però che su InternetGourmet i nomi si siano fatti, e più di una volta. Mauro Pasquali ha scritto dei Durelli che "gli piacciono". Per mio conto, negli ultimi assaggi "non" ho apprezzato particolarmente Marcato, che invece tu citi ad esempio della denominazione, mentre mi sono piaciuti, e l'ho scritto tempo fa proprio su InternetGourmet, due cose di Cecchin, una di Fongaro e lo Charmat della Cantina Val Leogra. Ma sono ovviamente pareri, e alla fin fine il bello del vino è anche questo: la soggettività prevale, senza alcun dubbio. Credo che la cosa migliore sia discuterne davanti a dei bicchieri. Paolo Menapace si era proposto di organizzare: passate le vendemmie, vedrai che ce la faremo. Ma il problema non credo sia verificare qual è oggi il Durello migliore, bensì cosa dovrà essere il Durello in futuro.

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  9. Che bello sto Durello,credo sia diventato il Gossip vinicolo dell'estate,sta avendo tanta pubblicità a costo zero, i pochi produttori del Durello ne saranno felici, Marcato poi ha trovato lo sponsor,è bello parlare bene, ma non si sembra giusto parlar male.
    Non credo ci siano produttori che vogliano imitare il Prosecco, semmai anni fa quando il Durello non aveva mercato e amici, in riunioni tecniche in Valdalpone ( grandi profe), hanno suggerito piantate Pinot nero, Chardonnaj, Pinot bianco. Certo allora le acidità della Durella erano sempre sopra il 15%°.
    Che dire? I Durelliani non scrivono, forse attendono l'incontro. A propisto dal 5 al 7 settembre in occasione del Soave Versus cè anche il Durello, forse si può iniziare a parlare .Ciaoooo alla prossima
    Paolo

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  10. @Paolo,
    non sono lo sponsor di nessuno, per altro Marcato non mi paga e il vino mi tocca comprarmelo come nel 99% dei casi del resto. Dico solo quello che penso in questo momento, domani chissà...
    Alberto Tonello

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  11. @Alberto. Conoscendo Paolo credo proprio che dicendo "sponsor" intenda "fan", "appassionato", e nient'altro.
    @Paolo. Sì, lo so che i professori hanno suggerito, consigliato i vitigni "migliorativi", che poi troppo spesso finiscono per non migliorare un bel niente. Anzi, a volte peggiorano. Però nessuno obbliga ad usarli. Quanto all'invito al Versus, è graditissimo, ma preferirei un incontro ad hoc più avanti, prendendoci tutto il tempo per parlare, discutere e magari bere.

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