Beppe Giuliano*
Non per amore di polemica, ma credo che l’editoria tradizionale vada difesa. Lo faccio volentieri in quanto come giornalista non di primissimo pelo, editore on e off line, una qualche idea su questo versante me la sono fatta. E debbo dire – ribadisco la premessa: ho stima e rispetto per quello che fate, per come lo fate, e in molti casi c’è di mezzo anche la personale amicizia - che questa discussione è tronca, è monca. Mi sembra che abbiate preso il peggio della gens italica che raccontate. La guerra è col vicino, quello del vigneto accanto, quello che vende una mezza paletta in Cina e voi no, quello che ha un articolo da qualche parte e voi no, quello che sbarca sul ripiano centrale di Rossetto e voi no… insomma, che ci sia acredine per una fetta di torta che è piccola e che, mannaggia, non riesco ad afferrare.
Così, ragazzi, non ci siamo.
Così buttiamo via occasioni. Mi ricorda le divisioni personali, atroci, che c’erano cinque anni fa fra i giornalisti veronesi del vino. Quasi odio personale. E infatti nel sistema-vino contavano di più altri.
Ribadisco, così è una minchiata. Mettiamo tutti da parte la spocchia sul personale status di “scrittore” e su quello che abbiamo professionalmente costruito sino ad ora, e guardiamo a quello che accade realmente.
È vero, la carta stampata soffre. Lo dicono i dati internazionali, ma non è un dogma di fede. Ci sono giornali, più vicini di quanto pensiate, che nell’annus horribilis del 2009 sono cresciuti di otto punti percentuali, con incrementi in edicola a due cifre molto importanti. La sofferenza ha molte cause: il fatto che un editore non operi in un mercato libero, ma che sia stretto da due monopoli – a monte, il cartello della carta (è così, in otto fanno il prezzo per tutto il mondo..); a valle, la distribuzione alle edicole, una sommatoria di monopoli locali - rende i suoi spazi di manovra molto stretti. Un editore tradizionale ha come compagni di viaggio due degli enti previdenziali e assistenziali più costosi ed efficienti in Italia: provate a saltare una rata dei contributi Inpgi e vedete che succede…
Il risultato è che un editore “deve” vendere il giornale ad un prezzo alto per un lettore italiano medio che ha visto negli ultimi dieci anni perdere tanto potere d’acquisto. E ancora, la pubblicità - quella per la quale, secondo voi noi ci vendiamo - copre oramai appena un terzo dei ricavi di un editore tradizionale; rispetto al passato mancano le pianificazioni di medio periodo. Tutto questo porta noi editori tradizionali a vivere alla giornata: ma non è una colpa, una lettera scarlatta!
È vero, Internet ha rappresentato un cambio di passo, e il futuro. Il nostro passaggio de L’Adige - ad esempio - da off a on line non è stato facile, però ha funzionato. E oggi non tornerei indietro. Ma il mercato dove operava L’Adige cartaceo era ed è tuttora presidiato da due quotidiani generalisti, da sei quotidiani free press e dal settimanale diocesano, due televisioni locali molto ben fatte e da due radio onnipresenti... Il web rispetto a tutto questo è una valida alternativa, lo ammetto.
Diverso sarebbe però per Euposia che, dopo nove anni, proprio oggi può cogliere nel mercato tradizionale i propri vantaggi competitivi.
Se comparo i costi delle due strutture, ovviamente, mi trovo davanti a cifre incredibilmente diverse.
Quello che però non cambia è l’approccio che una redazione giornalistica vera ha nei confronti della notizia e dei lettori: cambierà il linguaggio, ma il focus resta sulla notizia o sull’approfondimento che possiamo dare. Per chi ha tempo e voglia le collezioni storiche dei nostri giornali stanno lì a dimostrarlo.
La carta sottrae ancora risorse al web? Siamo dinosauri che sprecano energie a danno dei più efficaci mammiferi del web? La vostra vita dipende dalla nostra morte?
Se pensate davvero questo, offendete la vostra intelligenza.
Faccio un esempio: due colleghi che stimo, blogger fra i più accreditati, intuiscono che ad un certo convegno internazionale possono emergere notizie interessanti per il mondo del vino. Il web, questo grande free press dove il valore aggiunto degli autori non viene remunerato (vogliamo dircelo una buona volta?), non dà loro risorse per rientrare delle spese. Cosa che invece può, in parte, fare l’editoria tradizionale. Che ha avuto, in diretta, un prodotto editoriale da far girare sul web dando contenuti ai propri lettori, e - dopo - approfondimenti ulteriori per un’inchiesta che si sviluppa sull’off line. Dove può essere arricchita di ulteriori contenuti, testi, grafici, foto e può “restare” fisicamente sui tavoli dei lettori.
Cos’è allora? Tutte le obiezioni sui lettori della carta stampata e delle copie regalate solo per far numeri per la pubblicità non valgono più? Eppoi: la mia rubrica su e.polis fa due milioni di lettori al giorno, cos’è? Questi non contano? Avete più contatti voi di me al giorno? E se anche fosse così, e me lo auguro per voi, che problema ne deriverebbe? Nessuno. N e s s u n o.
La carta da giocare non sta nello scannarsi per conquistare quella piccola fetta che oggi è sul piatto, ma lavorare assieme per far crescere la torta. Dobbiamo lavorare sull’integrazione dei mezzi, per avere prodotti più freschi, originali, vere banche dati per i lettori, immagini, suoni… tutto disponibile su più piattaforme che lavorano assieme. Senza la componente editoriale, il nostro schifosissimo know how, rimarrete a raccontare - gratis - sul web il mondo del vino con tanti ringraziamenti da parte dei vignaioli, dei distribuiti e degli agenti… di tutta la filiera che guadagna, insomma, sulle spalle vostre.
Mi spiegate perché regalate il vostro ingegno? Non sarebbe più interessante, invece, provare a mettere assieme questi mondi che non sono separati se li guardiamo con l’ottica di un lettore moderno, evoluto, che usa internet per una cosa, ma non disdegna la televisione, la radio, una lettura più calma, meditata, davanti al camino, con un buon bicchiere di cognac in mano e una bella compagnia a fianco sul divano…?
C’è poi un altro aspetto che riguarda l’etica di questo lavoro e un minimo di deontologia. Tema che con Elena Amadini stiamo cercando di tradurre in un buon momento di analisi al prossimo Vinitaly: Angelo sostiene, e voi con lui, che l’anarchia, la democrazia diretta, è non solo tratto distintivo ma anche cuore pulsante della comunicazione sul web. Bello! Però noi “servi della pubblicità e del potere” quindi l’opposto dell’anarchia e della democrazia, rispondiamo con la nostra faccia, il nostro onore e il nostro patrimonio (come dicevano gli indipendentisti americani duecento anni fa) delle nostre idee e di quanto scriviamo. Ti senti offeso, danneggiato dal mio scrivere? Ebbene, io ci sono. Sono una persona fisica, sono una società che ha mezzi, capitali. Puoi avere soddisfazione.
Ma col web? Se un blogger mi diffama io che tutela ho? Se mette a rischio gravemente la mia attività su cosa mi posso rivalere? Sul televisore di casa sua? Sul quinto del suo stipendio?
Per fare questo mestiere ho dovuto fare un esame di Stato, magari non varrà niente, ma il codice civile e penale ho dovuto studiarmeli e così tante altre cose se volevo poter intervistare un Capo di Stato, un Capo di governo, un banchiere centrale, il capo militare del Sinn Fein o un imprenditore con 10mila dipendenti. Perché altrimenti non avrei neppure potuto iniziare una conversazione.
Tutto questo sta scritto dentro una testata che campeggia in prima pagina e che dice al lettore: magari per te sono un idiota, ma questo sono io, il mio giornale, le mie idee, la mia impresa.
Tornando a noi: non c’è contrapposizione, sono soltanto più lati di un poligono che possono essere collegati. Il poligono è il perimetro della comune competenza e passione e capacità di dare ai lettori valore aggiunto.
Io preferisco guardare alle opportunità che offre tutto questo se fosse messo a sistema e se, assieme, ci provassimo davvero. La piccola fetta sul piatto mi interessa relativamente. Ci punto perché a fine mese debbo pagare i conti come tutti. Ma mi resta un po’ d’appetito, ancora. Chi viene, allora, a cena con me stasera?
*Beppe Giuliano è il direttore della rivista vinicola Euposia e del settimanale L'Adige