Angelo Peretti
Tocca ripetermi, nel più classico dei "l'avevo detto". Il 6 settembre avevo pubblicato un post che titolavo "Ma il mondo del vino si è accorto del ciclone ocm?" Be', credo che pian piano se ne stia accorgendo. E fra un po' si rischia che se n'accorga fin troppo.
La questione è il cambiamento radicale d'una tipologia ora "no limits": quella dei vini da tavola.
Ricordavo che con le novità introdotte dal primo d'agosto a seguito della nuova organizzazione comune di mercato, i vini da tavola potranno scrivere in etichetta l'annata e anche il vitigno, se si tratta d'internazionali. Chiosavo che la faccenda "potrebbe stimolare la fuga dalle denominazioni". Scrivevo: "Mettiamo che ci sia un'azienda dal marchio molto, molto noto. Chi glielo fa fare a questa di continuare a imbottigliare il proprio vino col nome della doc o sotto le nuove norme dell'igt? Adesso che in etichetta può scrivere annata e vitigno, tanto vale che faccia un vino da tavola. Senza alcun controllo, a costi nettamente inferiori, con una flessibilità operativa (capite cosa voglio dire?) incredibile".
Mi sono autocitato perché sull'argomento è entrato il numero 52, appena uscito, dei Quaderni di Wine News. Che ricorda come nel Sessantotto - che fu l'anno della nascita delle prime doc - abbia visto la luce il primo dei futuri Supertuscan, il Sassicaia. Poi, a partire dal '92, i vini da tavola "importanti" man mano son diventati ad indicazioni geografiche tipica, e qualcheduno da lì è passato alla doc. Magari costruita più o meno "ad personam": ri-cito il Sassicaia, per il quale è riconosciuta nella doc Bolgheri una specifica sottozona (alla faccia del "sotto": mai come in questo caso definizione fu meno consona, ché verrebbe da dire "soprazona"). "Ma oggi - scrive Wine News - i vini da tavola potrebbero conoscere una seconda giovinezza in una sorta di clamorosa 'madre di tutti i paradossi'. Già, perché i vini igp (che assorbiranno le vecchie igt) saranno soggetti a controlli analoghi a quelli dei vini dop (docg + doc), lasciando i 'creativi' delle aziende vitivinicole italiane senza la tradizionale libertà d’azione, in qualche misura, garantita dalle vecchie igt".
Fin qui concordo, ed è esattamente quant'ho già scritto anch'io a settembre. Ho invece dei dubbi sull'intonazione da dare alle conseguenze di questo rinnovato interesse per la tipologia "da tavola". Wine News dice: "Ecco allora profilarsi all’orizzonte una rincorsa al gradino più basso della piramide della qualità per produrre vini di qualità, come accadde 42 anni fa (forse, però, con qualche buona ragione in più), in una sorta di ritorno al passato, che pare essere molto più semplicemente una fuga dai controlli".
Ecco: a mio avviso è vera l'ultima parte, la fuga dai controlli, foss'anche solo per risparmiar quattrini, quelli delle certificazioni. Ho invece serissimi dubbi che il passaggio al vdt sia generalmente orientato a "produrre vini di qualità, come 42 anni fa". Perché oggi la vitivinicoltura italiana non è più quella arcaica e lutulenta di quarant'anni orsono, e si può - volendo - far grande qualità anche all'interno della doc, enfatizzandone i caratteri di terroir. Ammesso che il disciplinare non sia così cervellotico da impedirtelo, ché allora sì comprenderei la fuga pressoché obbligata verso il "tavola".
Ma nella gran parte dei casi, ritengo che il passaggio alla categoria dei "vini da tavola" sarà dettato da una scelta economica: pagar meno oneri agli enti certificatori, ché tanto se hai un tuo marchio famoso vendi lo stesso, e magari puoi anche esser più liberi di "migliorare" il vino a tuo piacimento, andando a comprarne gli "ingredienti" dove più t'aggrada e meno ti costa.
Ma non c'è solo questo: ne parlerò più avanti.
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ma è vero che adesso si può togliere anche la dicitura vino da tavola e scrivere solo vino rosso o bianco.
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