26 febbraio 2010

Ma le doc coi vitigni internazionali resisteranno allo scossone ocm?

Angelo Peretti
Nei giorni scorsi son tornato sulla faccenda della nuova ocm del vino, che di fatto ha accresciuto per i produttori l'appetibilità della categoria dei vini da tavola, quasi in contrapposizione con i vini a denominazione o ad indicazione (i doc e i docg son diventati di fatto entrambi dop, gli igt ora sono assimilati agli igp). Insomma: se a fare vini a denominazione ti trovi legato da lacci e laccioli e ti tocca tirar fuori un sacco di quattrini per le certificazioni, perché mai - soprattutto nel caso tu abbia un marchio abbastanza conosciuto - non dovresti passare a fare un vino da tavola, ora poi che è consentito scrivere anche l'annata in etichetta? Certo, non puoi scriverci i nomi dei vitigni utilizzati, a meno che quei vitigni siano gl'internazionali, come lo chardonnay o il cabernet. E a questo proposito credo che una riflessione dovrebbero farla soprattutto coloro che regolano le (tante) denominazioni che prevedono i vini varietali di stampo, appunto, internazionale. Tutte quelle doc, insomma, che sono nate fra gli anni Ottanta e i Novanta - sull'onda della travolgente infatuazione per lo stile americano - che son gonfie, appunto, di cabernet o di merlot. E magari in zona anche - come si suol dire - vocate, perché no. Ma poco importa.
A costoro domando, in primis: si sarà in grado di resistere alla fatale attrazione del vino da tavola?
E ridomando: perché mai a un produttore d'un attuale cabernet doc non dovrebbe saltare in mente di fare in futuro lo stesso cabernet "da tavola" se questo gli evita un sacco di spese e di carte?
Credo - temo - ci sia una sola chance per "salvare" quelle doc: investire in comunicazione sulla denominazione a tal punto da farla diventare "irrinunciabile", perché capace di conferire un reale, tangibile plusvalore commerciale al vino e al suo produttore. Ma credo - temo - che qui il cane si morda la coda: se la denominazione è piccoletta ed ha poco blasone e poca storia, perché mai i produttori del posto dovrebbero tassarsi per investire sulla denominazione se con gli stessi soldini, più quelli risparmiati con la mancata certificazione, possono farsi promozione per conto loro, focalizzando la spesa sul proprio marchio?
Tempi duri per le doc.
Photo: www.freefoto.com

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