20 febbraio 2010

Oh, la mineralità cos'è?

Angelo Peretti
Sissignori, mi piace il vino che esprime mineralità. E qui lo so che ci sarà chi è pronto a saltar su a darmi del modaiolo, a mettermi nella schiera di quelli che si son convertiti al credo della mineralità dopo che son passati di moda la barrique e il cabernet e il fruttone e il vino palestrato e chi più ne ha più ne metta. E so anche che un’excusatio non petita è un’accusatio manifesta, ma siccome della questione ne scrivo da un bel po’ d’anni - degl’idrocarburi del Lugana, per esempio, da anni et annorum -, e quei vini mi piacevano anche quando eran fuori moda (e quegli altri non mi hanno mai esaltato, io che son per la piacevolezza dei vini da bere, per il vinino), be’, lo dico e lo ribadisco: mi piace il vino - e soprattutto il vino bianco - che esprima mineralità.
Il problema semmai è: cosa significa che un vino è minerale? Gl’illuministi della degustazione, i razionalisti dell’assaggio rifiutano anche solo l’idea che un vino possa essere influenzato da sentori minerali, e dicono - vabbé, semplifico - che un sasso non sa di niente, e dunque è impossibile definire un sapore o un odore come - appunto - minerale.
Ora, sfogliando l’ultimo numero di Wine Spectator, ci ho trovato una prima risposta al quesito di cosa significhi l’esser minerale d’un vino. La dà James Molesworth, che sulla rivistona a stell’e strisce ci ha una rubrica dal 1997, mica da ieri.
Dice, grosso modo: “Nel mio vocabolario, ‘mineralità’ significa il comunicare un qualunque carattere distintivo non fruttato del vino”. Bene.
Spiega anche che, camminando le vigne di mezzo mondo, e dunque i suoli calcarei e argillosi e scistosi e via discorrendo, s’è accorto che poi i vini che da quei suoli venivano trasmettevano un certo qual carattere - appunto - distintivo che non era spiegabile se non con un termine come “mineralità”. O forse - puntualizza, e ha ragione - si dovrebbe dire che quel carattere lo si trova nel vino migliori di quei territori. Bene di nuovo, dico.
Sono d’accordo. Ma farei una precisazione. Per me, la mineralità d’un vino è quel qualcosa che non puoi spiegare né con le categorie del fruttato, né con quelle del vegetale, sia dunque che si tratti d’una vegetalità fresca, floreale od erbacea od officinale, sia che si tratti di essenze conservate, come le spezie (pepe, cannella, chiodo di garofano e via seguitando). Dunque, quel che non mi ricorda il frutto, il fiore, il vegetale (fresco e essiccato), rientra in qualche modo in quel campo del mistero enoico che potrei definir minerale, e che contribuisce a raccontare l’anima del terroir, che non è assolutamente da confondere - come i fautori del razionalismo vorrebbero - né col suolo, né col territorio.
Ribadisco: sto dalla parte della mineralità.

4 commenti:

  1. e finalmente sapremo come trasmettere il messaggio della mineralità
    grazie Ambra

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  2. carissimo, bisogna fare chiarezza. sono d'accordo con la tua tesi, ma per 'm' io tendo a (ri)scoprire in quel che bevo (ovviamente vino) qualcosa di magico, quasi ideale. legato alla finezza, alla pulizia, all'essenza stessa. quasi ad un pensiero. talmente indefinibile - la 'm'- che non si percepisce immediatamente. e - su questo sono totalmente deciso - riscontrabile SOLO nei vini bianchi. altro che 'm' nei merlot, come blasonati sommelier continuano (anche in tv) a ribadire.
    prosit!

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  3. Bella pagina, ma non sono sicuro che le descrizioni dei profumi del vino possano esaurirsi nel minerale e nel vegetale. Mi vengono in mente i profumi di cuoio e pellame tipici di certi vini rossi evoluti.

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  4. @Xellos. Vero, nei vini possono esserci anche toni animaleschi. Però sono sostanzialmente d'accordo con Nereo, che interviene subito prima: la mineralità è questione bianchista, e trovare il pellame in un bianco sarebbe disastroso. Credo che qualche traccia minerale possa peraltro interessare anche qualche rosso: è il caso della terrosità di certi Amaroni. Dunque, occorrerebbe distinguere fra bianchi e rossi, ma l'esser minerale è questione soprattutto legata ai primi.

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