23 ottobre 2010

Condannati alla fascetta

Angelo Peretti
La normativa italiana direbbe che è obbligatorio che tutte le bottiglie di vino "a denominazione" riportino il contrassegno di stato. La fascetta, intendo. Quella fettuccia di carta filigranata, insomma, che sta appiccicata alla capsula. Solo che di solito la fascetta la vedete solo sui vini a denominazione controllata e garantita, i docg. Raramente si scorge anche sulle bottiglie "solo" a denominazione controllata, quelle dei vini doc. Perché la legge ammette una deroga, per i doc. Dice che al posto del contrassegno si può scrivere in etichetta il lotto di provenienza del vino imbottigliato. E, figurarsi, un po' tutti hanno messo la fascetta nel dimenticatoio: più semplice e più economico - e magari anche più qualcosaltro - scrivere solo il lotto.
Cos'è il qualcosaltro? Quel che non dovrebbe esserci: il taroccamento. O meglio, l'imbottigliamento truffaldino di più partite con lo stesso lotto. Che poi per chi vuole imbrogliare a volte è sufficiente disporre delle "carte" giuste: quel che va a finir dentro la bottiglia sembra la cosa meno importante, e senza fascetta puoi tentare di farla franca (e puoi anche riuscirci), ma con la fascetta molto, molto meno.
Ergo, gli onesti dovrebbero spingere perché la fascetta venga impiegata di più, perché sia resa obbligatoria, senza deroghe. Però, ammettiamolo, per gli onesti il contrassegno statale rischia comunque di costituire una bella rottura di scatole. Ed anche un costo. Bisogna comprare le fascette (mica te le regalano), custodirle con cura e gestirle con tanto di registri (vengono dalla Zecca, come le banconote), acquistare la macchinetta per appiccicarle (o in alternativa provvedere a mano), disegnare un packaging compatibile per la capsula e la bottiglia. Mica sciocchezze.
Epperò sempre più consorzi di tutela stanno valutando di adottarle comunque, ché è l'unica maniera per cercare davvero di scongiurare l'azione dei furbacchioni di turno: le fascette sono contate, con tanto di numero, e dunque il vino lo imbottigli una volta sola. E se le falsifichi incorri in sanzioni serie.
Ora, non sto a discutere se sia un bene o un male obbligare alla fascetta. O meglio, mi sembra chiaro che soprattutto per chi è a rischio di speculazioni pataccare, la fascetta è un bene. Discuto invece del fatto che si debba per forza usare la costosa ed antiestetica (a me proprio non piace) fascetta, invece che trovare altre soluzioni.
Mi risulterebbe che a giorni del tema del contrassegno si discuta al Ministero per le politiche agricole. E (purtroppo) non mi pare che si abbia intenzione di prevedere ipotesi alternative: si confermerebbe il solo contrassegno filigranato da appiccicare al collo della bottiglia in maniera tale che lo si debba per forza strappare durante l'apertura, onde evitare riutilizzi.
Quale potrebbe essere la soluzione alternativa? Ma, vivaddìo, quello che fanno già in Francia e in Austria: la capsula con il contrassegno di stato in testa. Certo, costa anche quella, ma almeno utilizzi un solo ciclo di lavorazione e una sola macchina: la capsula la si mette comunque, sopra al tappo. E poi è esteticamente anche più bella. E a bottiglia coricata dà subito la percezione della provenienza nazionale del vino. In Francia c'è impressa la Marianne, in Austria c'è la bandiera rosso-bianco-rossa. Perché da noi no? Perché dobbiamo essere tanto macchinosi e burocratici?
Avanti, Mipaf, un atto di coraggio, e adeguamoci alle migliori pratiche europee!
Ps: il Mipaf è il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali, ed ha a capo un uomo che so appassionato della cultura del buon bere; credo dunque abbia perfetta conoscenza delle best practices francesi, e lo esorto, per quel che conta la mia esortazione (quasi nulla), a volerle attuare anche in Italia.

5 commenti:

  1. 3.000,00€ il costo di una macchina per applicare le fascette, 0,06€ ogni fascetta calcolando che una capsula da 100gr (la più costosa) costa al massimo 0,05€ se è personalizzata con il nome della tua azienda... e si parla di speculazioni sul vino (che sicuramente da sempre ci sono)ma mi sà proprio che siano in molti a speculare sulla fascetta.

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  2. I costi sono piuttosto significativi per un piccolo produttore, anche se quello della macchina è facilmente riducibile attraverso i contributi pubblici. Ma dobbiamo ammettere che significativi lo sono di più i costi "indotti" alla filiera dalla commercializzazione di bottiglie che il vino di quella data denominazione non l'hanno mai visto. Il vero problema è che in Italia non si sta pensando a un'alternativa alla fascetta che consenta comunque di "contare" le bottiglie. Vorrei che anche da noi avessimo le capsule col contrassegno di stato.

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  3. Caro Angelo, ti scrivo da Vienna e devo confermare quanto sia accattivante vedere queste capsule bianco-rosse sugli scaffali delle enoteche.
    Bello il tuo post, vorrei segnalarti io una soluzione alternativo, ma prima separiamo per un attimo le questioni:
    - marketing della bottiglia e riconoscibilità dell'origine del prodotto
    - sicurezza anti-contraffazione
    - tracciabilità
    Sul primo punto non occorrerebbero decreti o leggi: se fossimo meno ciechi il tricolore andrebbe subito applicato sulle capsule!
    Sul secondo, esiste al momento una sola soluzione, già adottata da molti chateaux bordolesi e altre aziende in Francia e negli USA. Si chiama BubbleTag, è realizzata in Francia, se mi permetti ti segnalo una pagina in italiano che ho realizzato da poco [mi occupo dell'introduzione di questa soluzione anche in Italia]: http://bit.ly/9X1Iby. Tale sigillo è stato da poco certificato anche dalle autorità cinesi (sapete quanti problemi abbiano lì con le copie di prodotti occidentali). Oggi è proposto ai top wine internazionali (e italiani), ma non c'è dubbio che un'adozione di massa della soluzione abbasserebbe i costi ai livelli dell'attuale fascetta di Stato. Ma con molti più vantaggi, che vi lascio scoprire al link segnalato.
    Per la tracciabilità, BubbleTag la integra di per sè oppure si adatta a quella esistente nella filiera, e ogni bottiglia viene in pratica dotata di una propria "impronta digitale" e di un proprio "passaporto".
    BubbleTag non è copiabile, è accessibile da qualsiasi operatore e consumatore dotato di accesso a Internet col PC o via smartphone.

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  4. Gianpiero, grazie del suggerimento e del contributo. Sotto il profilo tecnologico, la soluzione che proponi è interessante. Purtroppo, tuttavia, dal punto di vista tecnico serve a poco se non è riconosciuta dal Ministero. Vero che potrei "tracciare" il prodotto, ma non potrei obbligare l'imbottigliatore ad utilizzarlo.

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  5. Angelo, no non si possono obbligare i produttori a usare questo nuovo sistema anti-contraffazione, al quale si aggiunge un'ottima tracciabilità con una leva di marketing notevole.
    Però, li si obbliga a usare la fascetta di Stato, che non garantisce alcuna sicurezza contro la contraffazione, ai consumatori sembra più una tassa del Monopolio (tipo quelle dei superalcolici o dei tabacchi), demanda ai consorzi una tracciabilità spesso solo di facciata (ho un paio di esempi per le mani che sono francamente preoccupanti).
    I produttori francesi e americani che la stanno adottando non hanno aspettato l'obbligatorietà sancita dallo Stato: credo che l'unica cosa importante qui, è l'obbligo di essere competitivi sui mercati internazionali.

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