27 febbraio 2011

Altro che degustazioni! Il vino deve ritornare in tavola

Angelo Peretti
Questione interessante quella che ha posto un paio di giorni fa Fabio Pracchia su Slow Wine, il sito enoico di Slow Food. Dice: "Sovente il mondo del vino è oggetto d'interesse dei media, ma è difficile che i temi che circolano nell'universo settoriale della critica enologica italiana facciano breccia nella quotidianità di chi il vino lo vive sporadicamente". E aggiunge: "A volte trovo frustrante che con l'enorme potenza della comunicazione contemporanea non si riesca a incuriosire la massa delle persone verso un universo così profondo e affascinante come quello della viticoltura". E poi: "Ancora vediamo persone che vagano come anime perse davanti uno scaffale di un supermercato, magari perché hanno paura di entrare in un'enoteca". E infine: "L'augurio è quello di riuscire a rompere le barriere tra chi parla di vino e chi lo intende comprare in modo diffondere la viticoltura di qualità nel modo più ampio possibile. Altrimenti qualcuno dovrà riportarci nell'universo comune".
Vero, verissimo. Sottoscrivo. Ma dove sta la causa?
Ora, la causa credo sia difficile individuarla, e forse sono dieci, cento concause. Ma di responsabilità ce n'è dovunque. Anche dentro Slow Food, perché no?
Cerco di spiegarmi, riprendendo quello che ho già scritto ieri su quest'InternetGourmet: abbiamo sradicato il modello culturale alimentare italiano, e ne paghiamo le conseguenze. Abbiamo assassinato quella cultura che vedeva il vino come alimento che sta in tavola con altri alimenti. Facendolo diventare, quand'è andata bene, status symbol, cosa d'élite. E quand'è andata male, un tabù, con lo spettro della patente a punti e della malattie cardiovascolari e di chi più ne ha più ne metta, purché non si faccia più un pasto accompagnato dal bicchiere di vino.
Invece il vino dovrebbe nascare per stare in tavola, insieme al cibo, al mangiare. Per la convivialità. Morta questa, è morto il vino.
Ne sono arciconvinto: c'è un'unica maniera per riavvicinare la gente al vino, ed è quella di riportare il vino alla sua destinazione naturale. E l'unica vera maniera di giudicare un vino è quella di capire quale piacevolezza sappia esprimere "insieme" al cibo.
Da anni ormai organizzo periodicamente delle degustazioni con piccoli gruppi. Le "mie" degustazioni. Ebbene: mai manca il cibo insieme al vino. Dico, cibo cucinato, mica il grissino. Si beve e si mangia. E sai come cambiano le opinioni provando il vino da solo e con la tavola? Oh, se cambiano! Oh, se saltano fuori gli altarini enologici, i doping, i lifting. Altroché.
Ecco, anche Slow Food ha delle responsabilità, in questo strisciante fenomeno dell'allontanamento del vino dalla sua collocazione ideale. Per esempio, e l'ho già contestato in un mio precedente intervento su InternetGourmet, avendo realizzato una guida vinicola che non ha avuto fino in fondo il coraggio di rompere il trito e ritrito ed assurdo concetto del "grande vino" che è di serie A rispetto al "vino quotidiano" che finisce per essere la squadretta provinciale. Già, Slow Wine ha dei meriti, senza dubbio, come l'aver voluto almeno provare ad andar di là del panorama dei soliti noti, ma a mio avviso ha una colpa: quella d'aver disegnato varie categoria di vini, suddividendo le bottiglie preferite fra i "vini Slow" (ed è scelta, lo confermo, che mi convince quella d'indicare bottiglie vicine alla "filosofia" del movimento), i "vini quotidiani" e i "grandi vini". E la distinzione fra vini "quotidiani" e vini "grandi" mi pare - mi ripeto - una contraddizione. Soprattutto perché sottintende che se ci sono vini "grandi" gli altri son per forza "piccoli". Ed è una distinzione che la gente comune non capisce, e non capendola se n'intimorisce, e finisce col pensare che il vino sia cosa da sapientoni.
E invece no. Invece personalmente ne ho le palle piene (si può dire? ormai l'ho detto) dei vini "da 100 centesimi", dei vini "da degustazione". Quelli che ti fanno venire il mal di testa per capirli e poi in tavola non ce li metteresti mai. Voglio il vino che stia col cibo. Il vino "deve" stare col cibo. E quello che ci sta meglio non è né grande, né piccolo: è semplicemente "vino".

13 commenti:

  1. ottimi interventi, soprattutto quando si accenna al vero problema di oggi: la completa ignoranza degli organi preposti alla comunicazione del vino e alla becera punizione di guidatori in stato d'ebbrezza. Si fa di tutte le erbe un fascio. Se a qualcuno può interessare ho appena pubblicato un libro dal titolo ben chiaro: "i due volti dell'alcol", edito dalla Arduino Sacco. Lo presenterò al Vinitaly, ma è già possibile acquistarlo via internet (pagamento alla consegna). Se poi Angelo Peretti volesse pubblicizzarlo su questo sito, gliene sarei grato. Non guadagno una lira da questo impresa, ma l'amore per il vino e i suoi artefici ben più importante... L'acquisto e le notizie sul libro si possono trovare qui:

    http://www.arduinosacco.it/product.php?id_product=480

    grazie delloo spazio

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  2. volevo aggiungere che il libro si trova anche su amazon.it...
    grazie

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  3. Grazie della segnalazione.
    Ho provveduto all'acquisto su Amazon.it (ma risulta al momento "non disponibile": speriamo lo sia presto). Ne scriverò molto volentieri, ovviamente dopo averlo letto.
    Ho anche inserito il link alla pagina di Amazon.it sulla colonna di sinistra di InternetGourmet.it, sezione "Libri consigliati: saggi".
    In bocca al lupo.

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  4. Purtroppo, credo che un ritorno ad una dimensione "alimentare" del vino, cioè unicamente come alimento alcentro delle nostre tavole, sia quantomeno improbabile. Il vino ormai è un universo che spaventa tanti perchè difficile ed articolato, che infastidisce altri perchè snob e modaiolo, ma che fa innamorare tutti (o quasi) quelli che ci si avvicinano. Il fatto che sia eternamente classificato, schedato, valutato e "punteggiato", più di ogni altro alimento, lo distanzia da quella dimensione domestica di cui si parla e , forse, volercelo ricondurre lo sminuirebbe, lo renderebbe meno interessante.
    Trovarlo però su ogni tavola ,questo si ,sarebbe bello. Che sia un vinone o un vinino dipenderà dal piatto, dall'ora, dalla stagione, se siamo in macchina o in bici, o semplicemente dal nostro umore.

    Se tutto il mondo del vino fosse un pò più umile nessuno avrebbe paura dell'ENOTECA (sembra una bestia mitologica detta così)e il bardolino sarebbe un VINONE. Ma si sa che di umiltà c'è crisi...

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  5. Sono in sintonia quando si afferma che il vino, per ritornare ad una dimensione più quotidiana, debba spogliarsi di tanti fronzoli ed orpelli sofisticati e modaioli, purchè questo ritorno alle "origini" porti con se anche una morigerazione dei prezzi al dettaglio che, a mio giudizio, incide notevolmente su quella che è la considerazione del settore da parte dei consumatori. Si ha "paura" delle enoteche o delle carte dei vini dei ristoranti, anche perchè l'esborso economico richiesto è mediamente elevato, in alcuni casi folle e ingiustificato e ciò non fa altro che amplificare ancora di più la percezione che questo mondo sia per una piccola elite. La conseguenza è che chi compra abbia poi una sorta di complesso d'inferiorità, dirigendosi così verso le pietose proposte della grande distribuzione che dal canto loro si presentano più "umane".
    Ha ragione il Sig. Peretti quando afferma che la qualità di un vino la si comprende a fondo quando lo si accompagna ad un cibo anzi, ad una preparazione, però è dura pretendere che il vino torni protagonista in tavola quando in un paese come l'Italia, come MINIMO, per bere DECENTEMENTE, devi spendere 8-10 euro (e non ditemi che non è vero che so benissimo che è così!). E se devo bere male, considerato che il vino non è necessario per il sostentamento, allora bevo acqua. Così succede che quella volta che si ha voglia di acquistare una buona bottiglia diventa un evento che si carica quasi di tensione che non dovrebbe esserci, perchè scegliere tra un Vermentino e un Verdicchio dovrebbe essere fatto con la stessa serenità con cui si opera la scelta tra ravioli e gnocchi o tra pane bianco e pane integrale.

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  6. @Mario. Devi spendere 8-10 euro dove? Intendi in enoteca?
    Posso dirti che ci sono vini che io trovo eccellenti, nella loro tipologia, che in cantina costano fra i 2,5 e i 5,5 euro. E bere bene a 3-4 euro credo sia un lusso che ci si può permettere.

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  7. In cantina sono d'accordo che certi prezzi si riescono a spuntare. Ma quanti del grande popolo dei consumatori di una città, ad esempio, come Milano o Torino, hanno il tempo di andare per cantine? Ecco che, comprensibilmente, si devono "accontentare" delle enoteche o della grande distribuzione e in quei luoghi, con i ricarichi applicati, bere bene a meno di 8-10 euro è missione ardua. E se 3 euro è vero che non pesano, beh 8 o 10 incominciano a diventare un lusso per molti, se questa deve tornare ad essere una spesa "un po' più quotidiana" rispetto a quello che è stata negli ultimi anni.

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  8. @Mario. Sono d'accordo con te. E la soluzione? Dammi qualche input, per favore.

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  9. L'unica via percorribile che mi balza alla mente è quella più tortuosa: una rivoluzione culturale nel modo di pensare il vino. Dovrebbe partire proprio dalla grande distribuzione e anche da diverse enoteche. E' un dispiacere constatare che troppo spesso su banchi e scaffali ci sono i "soliti" nomi dai 17-18 euro in su, qualche intermedio intorno ai 10 euro (anche in questo caso "i soliti") e poi una marea di vini a basso costo, anonimi, da batteria, senza un minimo di franchezza e di riconoscibilità, fino ad arrivare al bag in box o alle bottiglie di plastica simil tè alla pesca... Così non va! Perchè nessuno si prende la briga di fare un po' di ricerca, di dedicare almeno un angolo a produttori che, come faceva notare giustamente Lei Sig. Peretti, riescono a fare prodotti eccellenti contenedo i prezzi? Chissà, forse anche acquistati al dettaglio, senza doversi recare direttamente in cantina, potrebbero essere portati a casa con pochi euro e di conseguenza diventare i compagni dei nostri pasti quotidiani. Uscire da questo appiattimento porterebbe benefici a tutti, a chi vende e a chi compra. In Francia si trovano ottime bottiglie a prezzi contenuti anche nei grandi supermercati e perchè non dovrebbe essere così anche da noi? Ok, attualmente e da sempre i nostri cugini d'oltralpe hanno un livello medio qualitativo superiore al nostro, ma noi siamo l'Italia e il nostro nome fa rima con vino, è una storia millenaria che lo insegna e il modo per fare qualità e soprattutto venderla ai giusti prezzi, così che possa arrivare ad ampie fasce della popolazione, c'è sicuramente. Non trovo corretto che questa "missione" debba essere portata avanti solo da associazioni, organizzazioni, gruppi, esperti ed appassionati, che organizzano corsi di tutti i tipi, eventi, serate, aprono blog e siti internet. Bellissimo, ma siamo pochi e la nostra voce arriva a pochi. Sulle sue rubriche ho letto delle belle recensioni su etichette meno conosciute, ma che scometto sanno regalare emozioni superiori a prezzi inferiori rispetto a quelle di cui siamo abituati a sentir parlare. Le ho lette, mi sono piaciute, mi hanno icuriosito e visto che oltre ad essere un sommelier AIS sono anche un grande appassionato e desideroso di conoscere, certe bottiglie sono andato a recuperarle. Posso anche farmi portavoce con parenti, amici e conoscenti, ma se questi non hanno la mia passione non si prenndono la mezza giornata per andare a cercarli con me per cantine, ma si accontentano di quello che trovano al supermercato e nell'enoteca vicino a casa. Ci tengo a precisare che io parlo della realtà milanese, popolosa, per cui a mio giudizio importante e potenzialmente influente, ma non molto vicina a zone "da vino" (Franciacorta o Valtellina sono ad un ora e mezza, già troppo per la mentalità di tanti). Forse in città come Cuneo, Brescia, Verona, Siena o Avellino, soregendo nel bel mezzo di aree fortemente vocate all'alta qualità è diverso anche entrando in un supermercato. Se così fosse... Beati loro!

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  10. Idea: trovare un giorno alla settimana (magari il Sabato), dove invitare in qualche supermarket da Bolzano a Canicattì un produttore della zona, più o meno conosciuto, che possa portare i propri prodotti, scavalcando così la figura del grossista ed abbattendo non di poco il prezzo al dettaglio. Milioni di persone in un colpo solo avrebbero la possibilità di venire a contatto con realtà interessanti, con la qualità al giusto prezzo ed avere nello stesso tempo la possibilità di ricevere informazioni e notizie e portare a casa un vino quotidiano diverso, BUONO, a due passi da casa, uscendo dal luogo comune che questo mondo sia per pochi, sia d'elite. Certo ci deve essere la volontà da parte dei direttori di supermercati e anche da parte degli stessi produttori, che anche se non si tratta di una serata di gala di fronte ad una platea di esperti, è una bella cosa comunque. Utopia? Probabile. Però, quantomeno, "dotare" i negozi della grande distribuzione di un addetto al reparto bevande alcoliche, che ad oggi non esiste. Figura che invece è sempre presente negli altri reparti (macelleria, panetteria, pescheria, pasticceria, gastronomia). Almeno questo, non dico tanto...

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  11. Giustissimo signor Peretti, condivido pienamente quello che lei afferma e approvo anche le lucidissime spiegazioni di Zappalà (anche nel suo libro). Da quello che vedo, leggo e sento a sposare l'incazzatura del signor Peretti ci sono tanti pretendenti, ma rimaniamo tante voci rivolte nel vuoto. Il vino,come patrimonio italiano,deve essere ridimensionato al palato della gente non a ambiziosi sommelier,enologi, ecc. il tutto mirato a spingere le vendite nei vari happy hour o beve di moda. Concludo, invitando tutti quelli che la pensano come me e il Peretti a "coalizzarci" e creare un nuovo movimento per divulgare un mangiare-bere, ripeto MANGIARE-bere, per far capire ai ragazzi, i giovani, che il MANGIARE E BERE è una cosa nostra ITALIANA non uno .....slow food!!!!!

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  12. Grazie, Angelo. Bisognerebbe ripeterlo ad ogni occasione. Il vino è per la tavola. Si può anche degustare. Ma non viceversa. Altrimenti hai i vini da concorso che in tavola non sai come usare (ricordi il Re d'Aurum?)o non dicono nulla. Abbiamo entrambi fatto degustazioni, nulla da dire per chi è in grado di degustare 100 vini in un giorno. Io preferisco prendermi una bottiglia, portarmela a casa, lasciarla lì qualche giorno e aprirla in tavola. Sebastiano

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  13. caro Alessandro,
    tu dici bene e gli obiettivi dovrebbero essere due, prima di tutto:
    1) fare capire ai giovani (e non solo) cos'è il vino e cos'è l'alcol sia da un punto di vista degustativo che -sopratutto- storico e culturale
    2) combattere contro chi cerca di mischiarlo ad altre ignobili falsificazioni, come putridi superalcolici e droghe. In questo contesto, è fondamentale far sapere la squallida falsità degli strumenti di misura. E su questo penso di avere fatto tutto ciò che potevo... Chi non ha voluto sentire, ha fatto come la famosa scimmietta...
    "E' sempre meglio pensare ai fatti propri e che gli altri si arrangino..."
    Questa sembra ormai la dottrina più seguita dal Bel Paese e dai suoi soloni.

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