Be' sono contentissimo di dare quest'annuncio: oggi su InternetGourmet parte una nuova rubrica, e l'idea non è mia, ma di quel vero e proprio punto di riferimento del wine blogging nazionale che è Franco Ziliani. La rubrica s'intitola “L’ospite e l’invitato” ed è pensata come una sorta di "patto tra gentiluomini" siglato tra responsabili di siti e di wine blog. La formula Franco l'ha pensata così: ognuno, di volta in volta, invita un ospite a dire la sua, su un tema liberamente scelto, pubblicando il pezzo sul proprio blog, e in cambio l'ospitante viene a sua volta invitato in casa dell’altro. L’ospite e l’invitato appunto. Ognuno rimarrà responsabile di quanto scriverà: l'obiettivo è quello di favorire il dialogo, dando anche modo ai lettori di un blog di diventare lettori dell’altro, se già non lo sono. Il primo invito Franco Ziliani l'ha rivolto a me, e ne sono onorato. Ovviamente è una gioia per me ricambiare ospitando un suo pezzo, anche se credo non saranno molti tra i miei lettori a non conoscere il suo Vino al Vino, che è una straordinaria palestra di dibattito in materia enologica. Dunque, io intervengo su Vino al Vino, e in contemporanea Franco Ziliani interviene qui. E qui da me lui parla del vino dell'Unità d'Italia, mentre su Vino al Vino io scrivo di... be', andatelo a scoprire su Vino al Vino. Grazie, Franco.
Angelo Peretti
Vino dell’Unità d’Italia: cui prodest?
Caro Angelo, lo sai che anche se ho una parte di sangue terrone (per via della nonna materna, nata in provincia di Taranto) e non ho mai avuto simpatie per la Lega sto scoprendo in me un’anima padana, indipendentista e addirittura secessionista? Colpa della retorica dei festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia che ricorrono proprio in questo 2011, degli appelli alla concordia nazionale che a me suonano tanto come degli insopportabili volemmose bbene all’amatriciana dall’accento (insopportabile per me milanese) trasteverino. Ma soprattutto colpa dell’assoluta stupidità di un paio di trovate beceramente presentate come testimonianza di “federalismo enologico”, per l’aver buttato il vino in politica. Mentre - ma vallo a dire a qualche nostro collega che proprio grazie al suo dichiarato schierarsi con questa maggioranza (pur tenendo aperte le porte anche con l’attuale opposizione) ricava guadagni e sinecure varie e lucrosi incarichi… - dovrebbero restare cose separate.
Cosa è successo? Semplicemente che, come ho letto da trionfalistici comunicati stampa, qualche “genietto” si è inventato il “blend per celebrare i 150 anni dell’Unità nazionale” sotto forma di due vini, il “Vino bianco d’Italia” e il “Vino rosso d’Italia”, che verranno lanciati al Vinitaly e saranno le “uniche bottiglie autorizzate a celebrare la storica ricorrenza nazionale dalla Presidenza della Repubblica”. Coinvolti in questa trovata il presidente di VeronaFiere, Ettore Riello, ed il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che al Vinitaly dello scorso anno avevano sancito l’intesa per dar vita alla bottiglia “dell’Unità d’Italia” e braccio operativo Assoenologi, che ha provveduto a selezionare ed assemblare 20 uve, le seguenti: Petit rouge, Barbera, Croatina, Rossese di Dolceacqua, Raboso, Teroldego, Refosco dal peduncolo rosso, Sangiovese, Cesanese di Affile, Sagrantino, Lacrima, Montepulciano, Tintilia, Negroamaro, Aglianico, Aglianico del Vulture, Gaglioppo, Nero d’Avola e Carignano per il rosso. Il bianco sarà invece un mix di Prié blanc, Cortese, Trebbiano di Lugana, Garganega, Weissburgunder, Friulano, Pignoletto, Vernaccia di San Gimignano, Grechetto, Malvasia, Verdicchio, Trebbiano, Falanghina, Fiano, Greco bianco, Grillo e Vermentino. Due vini “enologicamente” e geograficamente corretti - e basterebbe già questo aspetto a rendermeli indigesti - di cui nessuno francamente sentiva il bisogno. Questo anche se ce li hanno presentati come “uniti nella diversità”.
Questo il vino dell’Unità d’Italia diciamo così istituzionale, ma volevi vedere che un’occasione del genere non finisse con lo scatenare la fantasia di chi dell’immaginazione - immaginifica - ha fatto la propria ragion d’essere? E così dall’azione congiunta di una delle più inutili associazioni che si occupa (parola impegnativa) di vino esistenti in Italia, Le Città del Vino, e di un winemaker che deve la propria notorietà ad aver inventato vini denominati La Quadratura del Cerchio o Ateo, ad aver fatto indifferentemente la consulenza per il vino di una pornostar e aver curato la Cuvée speciale per il Papa nel 2000 in occasione del Giubileo. Il tipo in oggetto, la cui biografia, quasi romanzata, potete leggere qui, animatore del “progetto Winecircus, regno dell’azzardo e della sperimentazione come elemento vitale della ricerca, in cui ogni sfida con la vite ed il vino è possibile e vale la pena di essere tentata”, corrisponde al nome di Roberto Cipresso, che gli stessi comunicati stampa velina ci definiscono “winemaker italiano di fama internazionale”. Cosa ha tirato fuori dal cappello del mago la combinata Città del Vino-Cipresso? Il “vino speciale” per i 150 anni dell’Unità d’Italia, nientemeno che “Il Taglio per l’Unità”, un rosso tricolore che racchiude in un’unica bottiglia l’Italia del vino, una selezione dai vitigni autoctoni più rappresentativi del Belpaese. Come si è affrettato a comunicare tutto compito il presidente delle Città del Vino, “la speciale cuvèe sarà realizzata in 150 magnum, tante quanti gli anni della storica ricorrenza, che saranno donate al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come omaggio negli incontri ufficiali con i grandi della terra”. Come ci ha raccontato ancora Pioli, questo mix di vitigni e territori, “è un vino che esprime il concetto di unità del Paese, intensamente desiderata nel momento in cui fu conseguita nonostante la condizione di frammentazione e la presenza di realtà complesse, differenti, che comunque riuscirono a sentirsi una cosa sola, forse proprio in virtù di quelle differenze. Oggi c’è bisogno di riscoprire quell’entusiasmo, e non esiste altro prodotto che sia il simbolo di tutta l’Italia come il vino”. Quando poi parla Cipresso la retorica, già abbondante, sale al potere: “Se è vero che un vino possa avere in molti casi la dignità di un’espressione artistica in grado di comunicare un messaggio forte, e di sicuro può essere un vero e proprio oggetto culturale, per la storia che rappresenta”, allora “per trasmettere, attraverso il vino, il fascino dell’Italia quale Paese reso straordinario dai processi di contaminazione di tante culture differenti è stato inevitabile per la realizzazione della cuvèe intraprendere la strada della mescolanza di varietà autoctone italiane che, per motivi storico-culturali, ma anche per le proprie caratteristiche organolettiche, e per il loro terroir, risultano le più rappresentative delle singole regioni”. Infine la ciliegina sulla torta, l’originale “etichetta artistica”, affidata ad un artista di Montalcino (località dove, si dice, di miscellanee di vitigni se ne intendono), che rappresenterebbe “la “ricucitura” dei tanti e diversi territori italiani con la loro storia e tradizioni attraverso il vino, l’elemento che unisce tutta l’Italia”. Come non avvertire la nausea, anche di fronte alla scelta fatta con un bilancino molto “guidaiolo” delle aziende e dei vini da inserire in questa “cuvée unitaria”?
Quasi quasi per bilanciare tutta ‘sta retorica, patriottarda, questa enologia furbetta, provo a stapparmi un Vinho Verde, un Verdiso trevisano, una Verdea di San Colombano, inneggiando al secessionismo, alla separazione da questa Italietta così trombona. Anche 150 anni dopo… Tu che ne dici?
Franco Ziliani
Leggendo velocemente sul sito dell'AIS avevo inteso che avrebbero imbottigliato più e diversi vini rossi e bianchi i quali sarebbero stati regalati ai "grandi della terra" (suppongo anche Ben Alì e Mubarak). Dunque avevo letto male e si tratta di un unico rosso e un unico bianco fatte di tutte quelle uve lì buttate insieme...oh my goodness!
RispondiEliminadi sicuro queste poche bottiglie verranno regalate a politici (probabilmente italiani e di poco spessore) con garantito addebito delle spese al già gigante debito pubblico.
RispondiEliminaLe aziende (non solo quelle vinicole) non hanno bisogno di queste spese, ma di semplificazioni burocratiche e sgravi per chi investe in ricerca, territorialità, produzione nel rispetto dell'ambiente (dalla concia agli orti), rispetto e formazione dei lavoratori.
Ma chi vive in un mondo ovattato di stipendi di lusso e pensioni facili, non si rende conto della realtà del paese.
Stefano, le aziende hanno bisogno di spendere meno, ma l'elefantiaca macchina mangiasoldi della politica e della burocrazia ha invece bisogno del contrario.
RispondiEliminaQuanto al vino, mi piacerebbe sapere alla fine quanto costerà 'sta operazione: mi sa che con quei soldi ci si compravano montagne di bottiglie eccellenti delle migliori denominazioni italiane, altroché. O meglio, non mi piacerebbe saperlo quanto costa, perché non ho voglia di farmi venire ulteriormente la bile.
E comunque non credo proprio che le berranno mai, quelle bottiglie: in genere, visto che paga Pantalone, bevono altro, e ben più blasonato, e così Pantalone spende il doppio.
Viva l'Italia.
Tutto sacrosanto! Ma se per i festeggiamenti luculliani del 150° avessero scelto il cirò i Padani avrebbero imbracciato i forconi, se avessero scelto Trento doc all'aperitivo in Franciacorta avrebbero urlato allo scandalo e nell'oltrePò Pavese sbuffato indispettiti. Dovevano scatenare una guerra all'ultimo sangue tra consorzi o mettere su un estrazione vinicola collegata a qualche trasmissione televisiva?
RispondiEliminaE' che ancora non si può festeggiare nulla ad acqua brillante...
Voi cosa avreste fatto?
Forse, ai festeggiamenti di Trento avrei servito il Trentodoc, a quelli di Brescia il Franciacorta e a quelli di Crotone il Cirò, e così via. Tanto nel segreto delle stanze del potere non credo proprio che berranno il guazzabuglio del centocinquantesimo. E comunque, anche nelle scelte dei vitigni e dei vini che sono confluiti nel "taglio" nazionale si sono fatte delle discriminazioni, e non poteva essere altrimenti vista la grande ricchezza vitivinicola italiana. La domanda però che mi pongo è questa: considerata proprio questa ricchezza, era proprio necessario spendere quattrini per creare un vino "finto", che non appartiene ad alcuna tradizione e dunque che non rappresenta niente e nessuno? Una commodity unitario-patriottica?
RispondiEliminaConcordo in linea generale con quanto detto. Però, giusto per il piacere di fare il bastian contrario, non è che ci stiamo tutti impregrando di retorica anti-italiana? A mio avviso il rischio c'è, e a me la retorica, tutta, dà l'orticaria. Non credo che con i soldi risparmiati si sarebbero potute risollevare le sorti enoiche del Bel Paese. L'operazione è ovviamente simbolica, e con ciò si presta a qualsiasi tipo di critica, facile però sparare sulla diligenza. A me sembra una iniziativa meno peggio di tante altre. Che poi la si voglia affidare a un Cipresso o ad un altro, poco cambia. Lo si sarebbe criticato comunque. Spariamo piuttosto su certe porcherie che si chiamano DOC o DOCG, sull'inettitudine dell'ICE e di tanti altri enti inutili che non promuovono come dovrebbero il lavoro dei vignaioli, sulla qualità ed onestà di tanti critici del vino, e mi fermo qui per non annoiare.
RispondiEliminaMario Plazio
Francamente trovo questa operazione abbastanza allucinante, mi rocorda il vino di Italia '90 che fa ancora mostra di se' su qualche scaffale con la sua bella bottiglia a forma di Coppa FIFA..
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