Mario Plazio
Consueta kermesse di inizio anno, l’anteprima dell’Amarone permette di cominciare a costruirsi una immagine di quello che sarà l’Amarone prossimo venturo. Le impressioni raccolte tra i corridoi della Fiera di Verona e quelle mie personali parlano di una manifestazione che comincia a mostrare qualche segnale di stanchezza e che avrebbe bisogno di un deciso “lifting”. Non è questa la sede per parlarne, ma l’esigenza di rinnovare la formula mi sembra molto concreta.
Andando subito al profilo del vino targato 2007, risalta subito all’attenzione come il vero protagonista sia stato il clima. La stagione è stata la più precoce degli ultimi settant'anni, grazie ad un aprile caldissimo e ad una estate piuttosto siccitosa. Questo ha favorito (almeno sulla carta) i vigneti di collina, più protetti e meno soggetti alle scottature. L’acidità è stata abbastanza bassa, ma equilibrata. Caldo anche il cruciale momento dell’appassimento, con un ulteriore avanzamento delle date della pigiatura al fine di evitare gradazioni fuori controllo. L’altro elemento che dovrebbe fornire opportuni spunti di riflessioni è venuto dalla relazione del presidente del consorzio Luca Sartori. L’annosa questione è quella del numero di bottiglie prodotte. Tra il 1997 e il 2010 si è passati da 1,5 a circa 13 milioni di unità. Tra il 2009 e il 2010 si è compiuto un balzo con annessa giravolta: da 9 a 13 milioni. Cosa significhi tutto ciò nel contesto economico, o meglio macro-economico, è facilmente intuibile. Inoltre non si potranno non avere negative ripercussioni sull’altro vino del territorio, quel Valpolicella che ne porta il nome, ma che fatica e trovare una precisa identità.
Sarete a questo punto ansiosi di sapere come ho visto l’annata 2007. Lo dico subito. Diversamente da come l’ha vista chi l’ha presentata alla stampa.
Mi è parso (potrei anche dire ci è parso) che il tratto caratterizzante dei vini sia una incompleta maturità polifenolica, con conseguenti e accentuati elementi erbacei o vegetali. Molto spesso i vini hanno mostrato un profilo non completamente armonico, in alcuni casi erano fin troppo evoluti o non abbastanza equilibrati nelle loro componenti. In questo possono ricordare i vini del 2003. Sicuramente una maturazione più lunga e più avanzata nel tempo ci consegnerà dei vini più raffinati e preparati ad affrontare un lungo affinamento. Un certo numero di vini presentava anche un eccesso di rovere, quasi si sia cercato di “ammaestrare” la materia con il ricorso a legni fin troppo aggressivi. Tra le note positive invece, ho riscontrato una minore ricerca della pura potenza, il che ha portato a vini di più facile ed immediata bevibilità e di gradazione più moderata. Una strada sicuramente da seguire. Difficili nel complesso i giudizi, visto che parte dei vini era in bottiglia e parte è stata prelevata dalla botte. Non sappiamo quindi quale sarà il vero volto di questi Amaroni una volta in bottiglia. Proprio per questo non vorrei parlare nel dettaglio dei vini degustati, che credo meritino un giudizio più pacato e su campioni definitivi. L’impressione è quella che nel corso di queste degustazioni i migliori (quelli che lo sono abitualmente) siano sempre piuttosto sottotono, mentre i produttori meno quotati escono con più enfasi (e anche questo dovrebbe far riflettere). Una brevissima segnalazione di alcune etichette che mi sono piaciute, con l’impegno di risentirle in futuro: Tedeschi, Gamba, Tenuta Sant’Antonio, Benedetti Corte Antica, Salvaterra, Valentina Cubi, Speri e Cavalchina.
Attendo inoltre di vedere come sono i vini di quei produttori che non hanno potuto o voluto partecipare all’anteprima. Spero possano farlo nei prossimi anni per consentire a tutti i presenti di crearsi una idea più completa del millesimo.
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