8 febbraio 2011

L'anima dei luoghi, l'anima del vino

Angelo Peretti
Il libro m'è tornato in mente leggendo un commento di Silvana Biasutti ad un mio scritto che Franco Ziliani ha avuto la compiacenza di pubblicare sul suo Vino al Vino: vi parlavo dei cosiddetti "vini naturali".
Dice Silvana (ed è molto bello quello che dice): "Stamattina mi trovavo seduta quietamente con due ‘giovani’ produttori di Montalcino a parlare dello stesso argomento (territorio, terroir, genius loci), e mi sono sorpresa a dire (voce dal sen, davvero, fuggita) 'ci sono vini con l’anima e altri invece no'. I vini con l’anima ti parlano della terra in cui crescono e della mano dell’uomo che li crea. Dell’uomo, della sua storia e dei suoi pensieri".
Ecco, è allora che m'è tornato in mente il libro. Si chiama "L'anima dei luoghi". Raccoglie un intervento di James Hillmann e un dialogo-intervista di Carlo Truppi con questo filosofo e psicanalista contemporaneo. Stampato da Rizzoli.
Ne scrissi nel 2004, e siccome ritengo che tra i miei lettori d'oggi moltissimi siano differenti da quelli d'allora, e che magari anche quelli d'allora non ricordino un mio articolino di sei anni fa, mi permetto di riproporne, pari pari, le parole.
Il testo, quello di Hillman, non c'entra niente col vino. Anzi. Muove le mosse da temi d'urbanistica, d'architettura. In realtà interpreta il rapporto fra uomini e terre. Illustra in maniera solare il "genius loci", la genialità dei luoghi e degli uomini che con essi sanno dialogare.
Dice Hillmann: "I luoghi hanno ricordi". Ed è una folgorazione. Aggiunge: "Ripensiamo a ciò che la psicologia ci ripete da tanti anni: la memoria è all'interno della testa. Il mondo dei ricordi sarebbe interamente nelle nostre teste. È un'idea incredibilmente strampalata che ci impedisce di accorgerci che la memoria è inscritta nel mondo".
Eccola qui la chiave di volta: le cose ricordano. L'ho sentito dire qualche anno fa a Luigi (Gino) Veronelli: la terra ricorda perfino il sangue di chi ci ha combattuto, e il vino che si ricava da quelle vigne non può che trasmettere, a suo modo, quei ricordi.
Il concetto vero di terroir muove da qui: non è la tecnica a fare il vero vino, ma è la memoria inscritta nelle cose. L'uomo quella memoria la deve ascoltare, leggere, interpretare, trasfondere nel proprio lavoro. Dialogando con la terra, cercandone ispirazione attraverso la fantasia, l'immaginazione, il genio. Scrive ancora il filosofo: "L'intima qualità del luogo è dovuta sia alla percezione del clima e della geografia, sia all'immaginazione: per questo è necessario stare a lungo in un luogo perché l'immaginazione possa rispondere". La tecnologia fine a se stessa potrà dare risultati appunto tecnicamente perfetti, ma muti, senz'anima. Il problema è un altro. È interpretare il territorio. "La questione - scrive Hillman - è cosa vuole il luogo ora. Come lo interpretiamo. Può questa interiorità di un luogo essere la legge del luogo? La rappresentano di più gli abitanti, i daimones, lo spirito del luogo. Può essere il silenzio la legge del luogo, piuttosto che la voce. La voce può essere il silenzio". Quello stesso silenzio che segna le ore del paziente operare del vignaiolo sulla "sua" terra. Per distillarne l'anima in una bottiglia.

7 commenti:

  1. Quant'è vero ... ci sono più misteri tra terra e cielo che granelli di sabbia nel deserto.
    A parte la facile battuta sono sicuro anch'io che una certa memoria lo abbia anche la terra.

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  2. Non so come, e non me lo spiego, ma c'è

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  3. Tutto perfetto.
    l'unico dubbio è, che mi pare estremamente "arrogante" pensare che un luogo abbia una memoria così come la intendiamo noi.
    Le cose avranno dei segni lasciati dal tempo, gli animali e la flora saranno memoria e presente e futuro di un luogo, anche i microbi avranno una sensazione di appartenenza (ce lo dicono i microbiologi, memoria forse no).
    La memoria del luogo è dunque la sommatoria di coscienze/memorie sia minerali sia vegetali sia animali o è l'interpretazione che noi ne diamo?

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  4. Non conoscevo questo libro, che andrò a cercare.
    Ho più fiducia di luigi fracchia@ sulla 'memoria' dei luoghi, forse perché ho l'esperienza di una casa - un podere - che per me è stato un incontro e che è capace di 'trasmettere' ai visitatori più sensibili le sue vibrazioni.
    non sto viaggiando nel 'new age', né in alcunché di magico o paranormale, ma solo nei sentimenti che le tracce che le vite (uomini, animali, piante, ma persino le pietre) lasciano in un luogo.
    se viene a montalcino per benvenuto brunello...

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  5. non intendo dire che i luoghi non abbiano memoria, solo che alla memoria noi diamo significati culturali e astratti.
    Cos'è per la natura la memoria il genius loci?
    La mia sensazione è che, persa completamente la nostra naturalità, ogni giorno i più sensibili tentino disperatamente un ritorno, impossibile, verso una olistica del vivere dove natura e luoghi da una parte e gli uomini dall'altra non siano in perenne scontro e lotta.

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  6. Credo che sia nelle osservazioni di Luigi che in quelle di Silvana ci siano degli elementi di profonda verità. Anch'io, come Luigi, se non ho capito male il suo ragionamento, ritengo che i luoghi, in quanto tali, non abbiano memoria. Penso invece - e questo è pensiero mio, che non coinvolge l'idea di Luigi - che pressoché ogni luogo sia stato antropizzato, ed è dunque la memoria dei "luoghi" come spazi modificati dall'uomo quella che noi possiamo leggere. Talvolta è una memoria labile, quasi impercettibile, che solo le persone più sensibili o colte (e non mi riferisco solo alla cultura accademica, ma anche a quella materiale) possono saper cogliere. Però per chi è disponibile all'ascolto di queste tracce i luoghi "parlano" delle loro "memorie", e puoi coglierne il filo, l'essenza, o anche solo averne l'abbrivio di un'idea, e con quell'idea anche tu, in un certi senso, contribuisci a costruire la "memoria" di un luogo. L'ho detto altre volte e lo ripeto, per me è fondamentale una lettura umanistica del mondo, della vita, delle cose.

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  7. A parte la piacevolezza della discussione, credo che la lunghezza d'onda sia comune (tra gli interventi qui sopra), e se vogliamo versarla nel bicchiere, mi sento di scrivere che una 'trascrizione' del luogo, in certi vini,io l'ho avvertita.
    Se ne potrebbe discutere all'infinito; qualcuno può pensare che io sia una 'visionaria', magari un po' snob; tuttavia mi pare che anche persone concrete ed esperte - gente che conosce 'l'uso del vino' - come Franco Ziliani (e non solo lui)siano attente ai suoni dei luoghi e li distinguano dagli altri caratteri che uno può trovare in un vino.
    Non sono un'esperta di vino, ma credo di saper guardare e ascoltare i luoghi ed è commovente quando li riconosci in un 'prodotto' (modo prosaico di esprimersi, ma anche i libri sono un prodotto e sono merce nella misura in cui vengono messi sul mercato; e in fondo che male c'è ad essere merce, se si è merce perbene!).

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