2 maggio 2011

Il racconto della capsula a vite

Mauro Pasquali
Qual è il problema della scarsa diffusione del tappo (o, meglio, capsula) a vite in Italia? Sicuramente la prevenzione e la diffidenza verso una chiusura che, soprattutto in chi di anni non ne ha pochi, porta a lontani ricordi di vini dozzinali chiusi con un improbabile tappo a vite di alluminio. Nulla di più diverso dalle moderne chiusure a vite ma le credenze e le diffidenze sono radicate e dure da superare.
Quale il modo migliore per superare diffidenza e ignoranza, si è chiesto Stefano Menti, giovane ed entusiasta viticultore in quel di Gambellara? Educare e informare, è stata la risposta.
Come raggiungere il maggior numero di persone con un messaggio efficace e, al tempo stesso, non eccessivamente costoso, visti i tempi? Usare il mezzo stesso oggetto del contendere: il tappo a vite.
Così, oggi, possiamo trovare il Paiele, Gambellara dell’Azienda Menti, con la chiusura Stelvin in cui fa bella mostra il racconto del tappo a vite:
"Perché la capsula a vite?
Per conservare al meglio i vini di pronta beva
Per rendere più agevole apertura e chiusura
Perché il metallo con cui è fatta è riciclabile
Per escludere interferenze sempre più frequenti con sughero e sintetici".

2 commenti:

  1. La trovo una cosa molto sensata! Da appassionato e da tecnico sommelier, penso che l'importanza del tappo a vite nei vini pronti debba essere passata ora al clinetre finale dai ristoratori ed enotecai.

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  2. Non solo per i vini pronti... Ieri Riesling della Mosella 2007: forse non è proprio quello che si può considerare un vino di "pronta beva". La chiusura? Stelvin!

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