24 maggio 2011

Liberalizzazione dei vigneti: c'è chi canta fuori dal coro

Angelo Peretti
Non c'è che dire: è proprio una voce "contro" quella di Gianpaolo Paglia, vigneron maremmano col suo Poggio Argentiera. Mentre tutti, ma proprio tutti, sembrano gridare al "dagli all'untore" contro l'Ocm vino che vorrebbe liberalizzare l'impianto di vigneti in Europa, lui imperterrito dice che la libertà d'impresa è un sacrosanto diritto, e uno sulla sua terra può piantarci quello che vuole, anche perché le misure per bloccare la proliferazione di vigneti le doc ce le hanno già, se vogliono. Dov'è che lo dice? Sul blog aziendale, ché lui oltre che vignaiolo è anche blogger, appunto.
Ora, sia chiaro, non voglio certo passare per quello che fa la crociata pro-deregulation, ci mancherebbe. Ma ho già scritto che sulla questione ho dei dubbi grandi come una casa. E adesso dico che in ogni caso non mi ci vedo a sostenere la posizione del catastrofismo, quella che dice che la liberalizzazione dei vigneti significherebbe piantar vigne dappertutto, e che con questo scomparirebbero i piccoli vigneron in favore del vino dell'omologazione industriale. Non lo vedo perché non è successo neppure laddove si poteva e dove si è piantato a mani basse - vedi Australia - si sta facendo marcia indietro. Ma, ripeto, son solo dubbi.
Gianpaolo Paglia la posizione, invece, l'ha presa netta, ed è curioso che sia un piccolo vignaiolo molto attento ai temi del terroir a cantare fuori dal coro. Dice: "È comprensibile che non faccia piacere a nessuno immaginare migliaia di viticoltori in crisi per la sovraproduzione (tanto meno a me, che appartengo alla categoria). Ma perché nessuno prova ad avanzare l’idea che il viticoltore non è più stupido (o più intelligente) di un qualsiasi altro agricoltore, o più in generale, di qualsiasi altro imprenditore? Perché mai dovrebbero esserci migliaia di persone pronte a piantare dei vigneti, con un impegno economico peraltro molto rilevante, in una situazione economica incerta e con prospettive di mercato difficili? Qualcuno si è mai chiesto perché non ci siano migliaia di olivicoltori, o peschicoltori, o produttori di cipolle, o di cappelli, o di fermagli per i capelli, che indiscriminatamente si gettano a valanga a produrre beni per i quali il mercato è già saturo, sapendo di rischiare il tracollo finanziario? E perché non si mette un limite al numero di fabbriche per saponette che si possono stabilire in Italia o in Europa, oppure al numero di ettari di zucchine che è possibile coltivare?"
Dubbi che si aggiungono ai dubbi.

4 commenti:

  1. Oggettivamente il discorso di Paglia non fa una grinza. Sicuramente i diritti, in parte, fanno da calmiere alla proliferazione di vigneti ma è anche vero che si sono visti, spero ora non più (??), diritti che circolano solo sulla carta e di fatto quindi la loro funzione venire meno... non lo so ma mi restano dei dubbi.
    In ogni caso, proprio per restare in tema, nelle prossime settimane anch'io avrò la necessità di acquisire diritti per circa 6000 mq per un nuovo vigneto sulle colline di Soave ... se qualcuno ha diritti da vendere !!

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  2. Ciao Angelo, grazie del re-post. Io credo che sia un argomento importante da affrontare, sopratutto perche' ci mette di fronte ai limiti e alle contraddizioni del nostro modo di confrontarci col mercato, con la produzione e con il mondo globale. Sono appena rientrato da una settimana in Cina. Sono viaggi che fanno bene, molte persone che pensano che il proibizionismo e le barriere sono strumenti che possono funzionare per metterci al riparo dalla concorrenza dovrebbero visitare l'Asia per rendersi conto che quello che si propone e' svuotare il mare con un cucchiaio.
    Il mondo non sara mai piu' come prima, la forza quasi primordiale di un regione che da sola totalizza quasi quattro miliardi di persone che hanno delle aspettative altissime per il loro futuro, ci deve far riflettere sul significato della parola globalizzazione. Globale non e' una scelta, e' una condizione di fatto, se vogliamo essere presenti nel futuro la dobbiamo smettere di nascondere la testa sotto la sabbia. Al mondo, che noi si pianti o non si pianti un ettaro di vigna non interessa nulla, la Cina e' ormai il 4 produttore di uva al mondo, con 500.000 ettari. La differenza la fa semmai a chi vuol provare a confrontarsi con il mondo a viso aperto, senza vincoli assurdi e anacronistici posti a proteggere l'improteggibile. Il che non e' la stessa cosa che dire che non ci debbano essere regole, anzi. Torniamo a ragionare con la nostra testa, non ci facciamo fregare con la difesa di rende di posizione che oltre ad essere indifendibili sono dannose per la collettivita'. Mettiamo i paletti dove devono essere: sostenibilita' ambientale, protezione delle categorie deboli. Mettiamo la benzina nei motori che ci spingeranno nel futuro: ricerca, promozione, trasparenza. Aprirsi al mondo non vuol dire arrendersi, vuol dire contaminarsi e contaminare. L'alternativa e' l'annullamento.

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  3. Gianpaolo, condivido. Aprirsi al mondo, innovare nel rispetto delle regole, essere sussidiari sempre e solidali quando ve n'è necessità: credo sia la formula vincente di chi sente di essere, appunto, vincente. Credo sia l'essenze del made in Italy che vince. Il resto è, purtroppo, destinato alla sconfitta. O alla mera sopravvivenza, da poveri.

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