28 settembre 2010

Il vino italiano? Come Agassi e Bill Clinton

Angelo Peretti
Come Andre Agassi e Bill Clinton: eccolo qui l'identikit del vino italiano. Parola di Decanter, la rivistona britannica.
Il numero d'ottobre del magazine inglese è tutto dedicato ai risutati dei World Wine Awards 2010, la competizione enologica di Decanter. E c'è dunque un capitolo d'approfondimento per ciascuna delle "regioni" vinicole prese in esame dai giurati. A proposito: per la Francia, le "regioni" son grosso modo tali (Bordeaux, Borgogna, Alsazia eccetera), mentre per l'Italia la "regione" è la nazione tutta, e quest'è già un giudizio: significa - mi par di capire - che da noi non c'è un'area che si stacchi così nettamente da meritare trattazione a sé stante.
Probabilmente per alleggerire un po' la trattazione - vivaddìio, mica ci si può prendere sempre terribilmente sul serio! - la redazione di Decanter ha chiesto ai capi d'ogni panel "regionale" di rispondere ad un curioso (e simpatico) quesito: "Se la tua regione fosse un personaggio famoso, chi potrebbe essere e perchè?".
Per la "regione" Italia i capi panel erano Rosemary George e Jane Hunt, entrambe master of wine. Ebbene, la prima paragona l'Italia del vino al tennista Andre Agassi, descrivendolo così: "Imprevedibile; un individualista che può far cose giustissime e altre volte così orribilmente sbagliate". La seconda prende ad esempio l'ex presidente americano: "Bill Clinton: carismatico, talentuoso e capace di grandi cose, ma troppo spesso troppo sicuro si sé, selettivo e rinnegatore degli errori". Oh, oh: due esempi che la dicono lunga su come al'estero l'Italia vinicola la vedano in chiaroscuro. Luci e ombre, figlie insieme del talento e della presunzione.
Vediamo le luci, intanto.
La George dice di amare i bianchi italiani: "I migliori hanno un'eleganza e un'originalità tali da offrire una beva appagante". Però "perché possano esser vini di successo non devono vedere i loro sottili profumi sovrastati dal legno", ché sennò "perderebbero la loro originalità". Ben detto. Consiglia poi - passando ai rossi - di tener d'occhio il Chianti Classico, che "sta perdendo il suo complesso di inferiorità nei confronti del Brunello o di Bolgheri".
La Hunt sostiene che "l'Italia resta davvero intesamente regionale in così larga parte della sua personalità, includendo quella dei suoi vini e dei loro stili". Però per trovare il meglio "bisogna esser pronti a pagare prezzi elevati, perché altrimenti si corre il rischio di considerevoli delusioni". E consiglia i Soave top (ma dice anche di evitare di sprecare denaro per quelli più ordinari), gli Arneis piemontesi, i Gewurztraminer e i Pinot Bianchi dell'Alto Adige. il Fiano e la Falanghina in Campania e perfino l'Albana in Emilia, oppure qualche bianco friulano, in special modo i Sauvignon. "Ma ricordate - scrive ai lettori - che, a dispetto delle massicce vendite, il Pinot Grigio ha pochi profumi (questo può spiegare la sua popolarità?)". Tra i rossi, invece, suggerimenti d'acquisto per le Riserve del Chianti Classico e anche per qualche Montepulciano d'Abruzzo e perfino, ma con "prudenza" per qualche siciliano e pugliese".
Ora, le ombre. Che cosa "lasciare sugli scaffali", evitando l'acquisto?
Per la George, la delusione maggiore durante le degustazioni della competizione è venuta dal Brunello di Montalcino, "a causa del legno eccessivo: il Sangiovese e il legno nuovo non si aiutano l'un l'altro". Insomma: parecchi vini che strizzano l'occhio al mercato globale, senza però mettere in liuce il carattere autentico del Brunello. E sono parole che devono - credo - far riflettere. E il legno, secondo la master of wine, è il problema anche di altri rossi italiani, così come i vitigni alloctoni: "Se compro italiano - scrive -, non voglio che i profumi siano adulterati da varietà internazionali, quando la tecnica enologica è migliorata a tal punto da non chiedere più aiuti esterni". E anche questa fa pensare.
La Hunt è invece delusa dalla Sardegna, regione per la quale vorrebbe dare la luce verde al semaforo enologico, ma che non appare ancora pronta alla partenza. Sicilia e Puglia offrono qualche bella bottiglia, ma c'è troppa roba ordinaria ancora. "Ed evitate le denominazioni dai nomi importanti offerte a prezzi troppo bassi - Chianti Classico, Brunello di Montalcino e Barolo - perché di vini veramente buoni in queste aree semplicemente non ne esistono a prezzi bassi".

4 commenti:

  1. Il pinot grigio ha pochi profumi? Se sta parlando del pinot grigio in quanto "prodotto" neutro, morto e industriale che circola per la gran parte, le sia concesso. Ma se intende il pinot grigio in quanto varietale, beh, allora non sa di che parla. Con tutto il rispetto per il suo master of wine. Probabilmente non ha mai sentito il pinot beurot che tagliano nel borgogna...
    Un cordiale saluto,
    Alvaro Pavan

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  2. Alvaro, intanto, non parlano di Borgogna ma d'Italia. E per il pinot grigio italiano ovviamente fanno riferimento a quella valanga di vino igt o vdt che ha invaso la grande distribuzione britannica. Un vino che ha avuto un successo di mercato notevolissimo, pur non brillando spesse volte (non si può generalizzare, ovviamente) dal lato dei profumi. Credo che la domanda di Decanter sia corretta: non è che sia proprio questa "neutralità" aromatica a rendere interessante questo vino per il consumatore inglese?

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  3. Beh, allora più che la neutralità in sè, mi sembra che la sua popolarità, e conseguenti massicce vendite, sia dovuta al prezzo a dir poco "populista" su cui lo si può arraffare sullo scaffale, o no? Ma mi rendo conto che non si sta parlando di vino, ma di mercato in senso stretto. Allora passo la mano.
    Ti saluto. Ciao
    Alvaro Pavan

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  4. Concordo: più che di vino, qui la questione riguarda una commodity che si usa chiamare vino, ma che con il vero frutto del terroir non ha nulla a che vedere.

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