16 settembre 2010

L'etilometro è inaffidabile (ma allora bisogna cambiare prospettiva)

Angelo Peretti
L’etilometro è inaffidabile. Lo dice la Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti. L’ha annunciato a Milano, ieri. In una conferenza stampa. Parole pronunciate da Costantino Charrère, presidente dei vigneron italici (lui è quello de Les Crêtes: io che non bevo chardonnay e che non amo il legno, ma talvolta faccio un’eccezione per la sua Cuvée Bois).
Il fondamento della perentoria affermazione sta negli studi di un professore americano, Michael Hlastala, dell’Università dello Stato di Washington, che in contributo in video (foto qui in fianco) ha dichiarato che “l’etilometro non è da ritenersi attendibile perché dovrebbe essere perfezionato tenendo conto dei fattori che incidono in modo rilevante sul respiro”.
Può darsi, non so, posso crederci, ma non sono competente. Però i temi, a mio avviso, sono altri. E sono due.
Il primo: la Fivi fa bene a rompere gli schemi, vivaddìo. Fin più o meno tutti, nel mondo del vino, hanno mostrato una sorta di sacro timore a dire le cose che vanno dette. Ossia che dalla campagna proibizionistica, troppo spesso concentrata sul vino, c’è qualcuno che ci guadagna. “Oggi la nostra filiera – ha spiegato Charrère – vive una delle più grosse crisi strutturali che mai si siano verificate. Cala il consumo del vino per dare spazio ad altre bevande industriali anche eccitanti. Questo si somma a una campagna di denigrazione del vino che va a colpire quei consumatori moderati per i quali il vino è alimento”. E poi: “Combattere il consumo di alcol con il proibizionismo abbatte il consumo di vino, ma non delle altre bevande alcoliche più pericolose, che i giovani continuano a consumare”. Finalmente qualcuno che lo dice, fra i produttori. Perché, se c’è qualcuno che ci guadagna, ci sono altri che ci rimettono. Ci rimettono i vignaioli, i ristoratori, certo. Ma anche i bevitori moderati, che siccome son moderati in tutto, quando è venuto fuori l’incubo del ritiro della patente hanno smesso di ordinare vino al ristorante. Perché niente e nessuno li tutela e li aiuta a verificare se sono in regola o no. Perché sono coscienziosi, fin troppo. E intanto che loro fanno astinenza, i ragazzotti in discoteca e i delinquenti a piede libero si sballano di superalcolici e pasticche e polverine bianche e altro, e del wine in moderation ed altre formule del genere non gliene frega proprio niente, perché col vino non si sballa, o fa meno fashion farlo.
Seconda questione. Questa la dico io, e me ne assumo la responsabilità. Che l’etilometro sia attendibile o meno è interessante - anzi, è giusto - saperlo, ma insistere ha un rischio. Nel senso che anche se si dimostrasse che è una patacca, si troverebbe un altro strumento, e quando si dimostrasse (e lo si dimostrerebbe, prima o poi) che anche questo non va bene, allora non resterebbe che una soluzione: tolleranza zero. Esattamente il contrario di quel che occorrerebbe. Intendo dire che ritengo non utile combattere la campagna di demonizzazione del vino cercando di demonizzare lo strumento di controllo. Serve altro. Serve far cultura.
Sposo dunque le idee di Giancarlo Trentini, presidente dell’Osservatorio permanente su giovani e alcol, pure presente a Milano: bisogna cercare di capire “che cosa fare non in difesa, ma pro il consumo intelligente del vino”. E poi: “Per i produttori di vino sarebbe meglio puntare su una strategia più difficile: una battaglia a favore del vino si può sostenere se è nel nome dei valori piuttosto che sulla confutazione delle idee scientifiche”.
Come tradurre in pratica una simile indicazione? Non lo so. Ma credo che prima di tutto sia necessario un salto di mentalità da parte di chi fa vino e di chi ama berlo: suvvia, lavoriamo “per” e non “contro”. Allora, cambiando prospettiva, la soluzione la troveremo.
Intanto, brava Fivi, che comincia ad esser presente nella società. Senza peli sulla lingua, senza sudditanze. Magari un po’ artigianalmente (come si fa a lasciar dire al moderatore che “non si è mai visto un alcolizzato bere Sassicaia o Tignanello”?), ma ci si deve pur fare le ossa.
Avanti: la strada giusta, quella della consapevolezza, è stata imboccata.

6 commenti:

  1. Siamo giunti, più o meno alla stessa conclusione: http://tinyurl.com/2wz5aut
    Buona giornata.

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  2. Personalmente apprezzo parecchio quanto hai scritto su Soavemente

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  3. La campagna proibizionistica la trovo giusta. Non si beve quando si guida o si muore. Da giovane europeo però mi chiedo come mai nel mio paese altro mezzo oltre la macchina non è presente, Londra, Berlino, Madrid, Parigi, Amsterdam etc nessuno, (o quasi, e comunque può scegliere) lì si sogna di guidare ubriaco, basta che prende i mezzi pubblici, i quali FUNZIONANO TUTTA LA NOTTE, e così DEVE diventare anche qui. Uno esce beve quanto gli pare spende quanto vuole e torna sereno a casa. Ma...ho come l'impressione che i vecchi che ci governano, e quelli che dicono di avercelo duro che poi a ben vedere nn si direbbe, non capiscono, e allora poverini aiutiamoli noi a calci, o capiscono e allora vaffanculo. Riccardo Passoni

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  4. @Riccardo. Quello del trasporto pubblico (mezzi pubblici, taxi ecc.) è un grande problema in Italia. Effettivamente siamo in ritardo anni luce rispetto ai principali paesi europei, ed abbiamo tariffe altissime, pur non avendo un servizio efficace.

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  5. Ottimo articolo, chiedo il permesso di rilanciarlo sul mio Blog, ovviamento copiando anche la fonte. Grazie.
    Il mio Blog: www.studiostampa.com
    La mia e-Mail: info@studiobertollini.it

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  6. @ Giancarlo. Grazie degli apprezzamenti. Ovviamente, piena autorizzazione (ed anzi un ringraziamento) per il rilancio del post.

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