Angelo Peretti
Se n'è scritto e parlato molto, di recente, e dunque non varrebbe neppure la pena tornarci sopra. Però mi pare che le cose non stiano buttando troppo bene. E allora mi domando come la metterà chi s'è fatto vanto del fatto che, previsioni vendemmiali alla mano, quest'anno probabilmente l'Italia sorpasserà la Francia in termini di quantità di vino prodotto. Premesso che non dobbiamo spezzare le reni a nessuno, sapere che la produzione di vino italiano potrebbe segnare un aumento fino al 5% rispetto allo scorso anno, portandosi sopra ai 47,5 milioni di ettolitri, mentre i transalpini ne faranno "solo" 47,3 milioni di ettolitri (contro i 46,7 milioni dell'anno passato) non mi esalta. E non è solo questione di qualità, ché di vino-schifezza se ne fa in Italia come in Francia. E così pure di vino di qualità, anche se per le produzioni di punta i francesi ci battono, non c'è verso, a meno che si voglia negare l'evidenza ed esser sciovinisti ad ogni costo.
Quel che dovrebbe preoccupare è che non sarà facile trovarsi con una simile massa di vino a disposizione quando il mercato arranca e in giro per l'Italia ci sono cantine già colme prima di vendemmiare e le giacenze in certe zone si fanno via via più problematiche e i prezzi spesso scendono in picchiata. Dove lo mettiamo tutto 'sto vino nuovo? A chi lo venderemo? A quali prezzi? Ammesso e non concesso che troviamo chi il vino ce lo compri, i prezzi - bassi - che dovremo mollare per quanto tempo ce li dovremo poi accollare? Anni, probabilmente. Si sa: i prezzi farli scendere si fa in fretta, ma poi risalire è durissima.
Ma è mica solo questo che mi dà qualche grattacapo. Gli è che il tempo ci ha messo del suo. Miseria se ha fatto freddo e ha fatto acqua in quest'estate. E le conseguenze si vedono in certe vigne: uve dalla buccia sottile sottile che si spacca come niente, attacchi di botrite, marciume. C'è chi in queste ore sta vendemmiando cert'uve bianche in frett'e furia per salvare il salvabile, ma con uve del genere si fa il vino che si può, ed è già tanto. Settembre rimetterà le cose a posto? Speriamo di sì. Speriamo che ci sia un settembre soleggiato, che porti avanti bene la maturazione, senza che si fermi l'attività delle piante, senza che arrivino rogne sanitarie.
Speriamo: ne hanno bisogno, di speranza, i vigneron.
Si sà: chi visse sperando...
RispondiEliminaBattute a parte, se si pensa alla vigna come ad un campo di polenta, con la prestesa di piantarla ovunque quindi anche in zone non vocate, con sesti d'impianto intensivi esasperati dalla meccanizzazione, il risultato in cantina checchè ne dicano gli amici enologi non potrà che produrre gli effetti che Angelo ci ha ben descritto. Pensare che tutti possano essere vignerons è velleitario: a pagare è l'enologia, l'ambiente in termini di biodiversità e salute pubblica ancorprima del mercato. Attilio Romagnoli
Io in questi giorni sto lavorando molto di defogliazione manuale, per far circolare aria, evitare il marciume e aiutare la luce. I gradi zuccherini nelle ns. vigne sono buoni, maggiori della scorsa annata con acidità anch'esse maggiori.
RispondiEliminaPer il problema del mercato bisognerebbe fare quanto segnalato da Petrini e quanto hanno insegnato i produttori di Champagne: imbottigliare meno e magari di maggiore qualità e mantenere i prezzi. L'invenduto si sVENDE all'ingrosso a prezzi di sottocosto. Quando il mercato riparte, con i prezzi siamo adeguati e l'ingrosso farà a meno dei ns. vini.
Anche se gli italiani, com'è noto, ce l'hanno con i francesi sotto diversi punti di vista e, francamente non ne capisco il motivo profondo, concordo pienamente con Angelo nell'affermare che non c'è bisogno di spezzare le reni a nessuno, che dobbiamo percorrere la nostra via, e riconoscere che nelle produzioni più pregiate i francesi sono più avanti di noi, anche se abbiamo recuperato molto negli anni recenti....comunque sia se proprio vogliamo superare la Francia in qualcosa dovremmo pensare di superarla con la qualità nella vigna, nella cantina e sul mercato, con l'assenza di scandali tipo Brunello di Montalcino dello scorso anno e adottare strategie quali quelle suggerite (come ho appena letto) da Stefano Menti.
RispondiElimina@Stefano. Unica obiezione: l'invenduto si può anche svendere, ma a due condizioni. La prima: che sia svenduto come vino non a denominazione, perché altrimenti il prezzo medio della doc crollerebbe inevitabilmente, e allora rialzarsi sarebbe dura. La seconda, che viene però prima della prima (scusa il gioco di parole): che si trovi qualcuno che te lo compra, perché - attenzione - non si tratta di centinaia o di migliaia di bottiglie, ma di valanghe di ettolitri, e il mondo è pieno di valanghe di ettolitri di vino anonimo a prezzi bassi (e magari neppure così male dal punto di vista qualitativo).
RispondiEliminaD'accordo con te Angelo. Circa la svendita senza denominazione l'avevo data scontata per una denominazione come Gambellara ma per altre denominazioni tanto scontata non è. Infatti chi ora svende all'ingrosso denominazioni importanti o meno aiuta il processo di deprezzamento dell'immagine del territorio.
RispondiEliminaVero anche che vino all'ingrosso ce nè tantissimo ma se sei fortunato ad averlo buono hai un canale preferenziale per il piazzamento.
Comunque fondamentale fare attenzione al primo aspetto.
Personalmente ritengo che deflazionare un prodotto di qualità sia comunque,di concetto,sbagliato.Il rischio come spesso accade nel nostro paese è che molti vini pregiati finiscano(con conseguenti ripercussioni per i venditori qualificati)sugli scaffali della grande distribuzione a prezzi di costo, e in questo dai francesi dovremmo imparare
RispondiEliminaSì, ma ritengo che dai francesi dovremmo imparare anche a fare le Foire aux Vins, le "svendite" di "fine stagione" nei centri commerciali. Si svolgono proprio in questo momento, alla vigilia della vendemmia, e la Revue du Vin de France ogni anno dedica a questo straordinario appuntamento un numero della rivista, con tanto di recensioni e consigli per gli acquisti: una straordinaria opportunità per avvicinare, a prezzi ridotti, i vini di qualità.
RispondiEliminaquesto è sicuramente un modo per avvicinare ai grandi vini anche chi abitualmente non se li potrebbe permettere e innescare un meccanismo di interesse verso un prodotto già culturalmente molto diffuso.Che non funziona in Italia è spesso l'equivoco sistema commerciale che viene adottato da molti produttori. Servirebbe forse l'equivalente della figura del negociant francese.Andrea Berti
RispondiEliminaVedo che si discute di dettagli e molto importanti direi, ma noto anche come tutte le conclusioni portino sempre a motivi di fondo, a strategie, a sistemi che dipendono sì dal produttore o dal commerciante ma, soprattutto a mio avviso, dipendono da un fatto culturale generale e trasversale che in Italia non esiste mentre in Francia sì, e fa in modo che si riescano ad organizzare le Foires aux vins (per esempio) dove il "vantaggio" va a finire al consumatore finale (con tutte le conseguenze solo positive del caso) mentre in Italia......qualcuno mi può rispondere?
RispondiEliminaBell'interrogativo, Raffaello. E poi concordo: il problema è culturale.
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