8 aprile 2010

Cinque bottiglie difettose in due settimane: non vi sembra troppo?

Angelo Peretti
Ora, è vero che mi capita molto spesso di mangiar fuori casa, ma mica ogni pranzo e cena li faccio al ristorante. Insomma, la media non la saprei dire. Però statisticamente è a mio modo di vedere comunque molto rilevante il numero di bottiglie che nelle ultime due settimane m'è capitato di mandare indietro dal tavolo perché sapevano di tappo: cinque in una quindicina di giorni mi pare davvero tanto, e tanto sarebbe anche se avessi mangiato fuori ogni mezzodì e ogni sera, figurarsi se s'è trattato della metà circa delle occasioni.
Nell'ordine, a darmi cocente delusione e a farmi chiedere il cambio di boccia sono stati un Fiano avellinese di un'ottima azienda, due Riesling della Mosella (eccellente vigneron, bell'annata, grande vigneto), un bianco frizzante dell'Oltrepò Pavese, uno Champagne. Cito le zone e le tipologie per significare che il problema è - come dire - ad ampio spettro, sia geograficamente, sia reputazionalmente, sia anche economicamente, ché si va da vinelli da un paio d'euro in cantina fino a roba da trenta e più euro presso la maison.
Ormai ho l'ansia da tappo. Sono tante, davvero troppe le bottiglie che mi si presentano difettose, e non credo proprio che si tratti di mia sfortuna. E mica e sempre appaiono fallate solo per il famigerato tricloroanisolo et similia, ossia per il classico odor di tappo. Ma anche per altri problemi: riduzioni, ossidazioni, comunque aberrazioni. Non ne posso più.
Tre settimane fa ero a cena con un collega, un giornalista di quelli proprio in gamba. Ordina lui un vino per il dessert: per quel che mi riguardava si trattava di una novità. Assaggio e lo trovo abbastanza buono, anche se di certo mica al livello di quanto m'aspettassi. Soprattutto, l'impressione è quella che a un avvio piuttosto interessante faccia seguito una repentina fine. Che il vino, insomma, si smorzi di colpo, lasciando una cert'asciuttezza al palato. Vedo che lui, il collega, è perplesso, e gliene domando ragione. Mi dice che avverte il vino meno brillante di come l'aveva trovato qualche mese fa, a ridosso dell'imbottigliamento. Prova anche l'oste, e anche lui ha la stessa sensazione. Butto lì: "Se mi dite così, vedrete che la bottiglia era chiusa con un tappo sbiancato". Già, ché m'è capitato altre volte che i tappi soggetti a sbiancatura avessero quest'effetto annichilente sulla freschezza dei vini. L'oste va in cerca del tappo e lo porta: effettivamente, candido come la neve, sbiancato.
A prescindere dai punti che ho guadagnato facendo l'indovino e azzeccando da un semplice assaggio la tipologia di tappo con cui era chiuso il vetro, il problema di tappi è grande assai.
Per me, si sa, sarei per metter la capsula a vite dovunque, ma soprattutto sui bianchi e sui rosati. Non c'è motivo per rischiare con altre chiusure, e soprattutto di seguitare con quegli orrendi moccoli in plastica, duri come il sasso, che il vino te lo fanno ossidare in pochi mesi. La soluzione della vite c'è: coraggio. Magari cominciando ad accantonare gli assurdi pregiudizi che hanno i ristoratori, che quasi (senza quasi) si vergognano a portarti in tavola una bottiglia serrata con lo Stelvin. Ragazzi, aggiornatevi!
Un mesetto fa, al ristorante. Adocchio nel frigo la bottiglia (una mezzina) d'un bianco che mi piace parecchio, chiusa con lo Stelvin. Al tavolo la ordino senza esitazione. Di lì a poco, ecco arrivare, imbarazzato, il gestore, che mi sussurra che il vino che ho scelto, sì, insomma, ha il tappo a vite. Come se si trattasse di un difetto, di un crimine, d'una subcategoria enoica. Gli dico senza mezzi termini che la bottiglia l'ho scelta proprio perché ha lo Stelvin. Ci resta di sasso.
Ce n'è di strada da fare, ancora.

8 commenti:

  1. Certamente sono principalmente pregiudizi dettati dalle tendenze e dalle mode; se qualche produttore stellato ha il coraggio di partire gli altri poi seguiranno, e speriamo il prima possibile.
    Ho notato una cosa che sembrerebbe un paradosso ma non lo è, spesso le bottiglie che hanno il tappo che crea problemi sono di vini "importanti" mentre la cosa l'ho riscontrata molto meno in bottiglie di vini più "normali".
    Non mi spiego il fatto !

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  2. Tutto frutto di pregiudizi, tendenze, mode; se qualche produttore stellato parte con lo stelvin, gli altri seguiranno, spero il prima possibile.
    Ho notato una cosa, che sembrerebbe un paradosso ma non lo è, spesso i tappi che creano problemi sono su bottiglie di vini "importanti", mentre per i vini più "normali" il problema è molto meno frequente.
    Non me lo spiego!

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  3. E' un problema importante. Bisogna vincere i pregiudizi dell'oste e del bevitore finale. Noi da sempre usiamo tappi in sughero monopezzo non sbiancati ma, il problema di tappo qualche volta si presenta. Il problema che il vino invecchi precocemente soprattutto se si tratta di vini giovani, l'ho avuto. Ho fatto raffronto imbottigliando alcune bottiglie con CAPSULA A VITE, alcune altre con tappo sintetico e l'intera mia produzione con tappo sughero mono pezzo. A distanza di un anno risultanti eccellenti di freschezza mantenuta per la CAPSULA A VITE. Risultati alterni per il tappo sintetico. Quasi tutti in vase di rilassamento per il tappo in sughero.
    C'è da dire inoltre che i disciplinari non aiutano. Per il Gambellara non è possibile usare la CAPSULA A VITE sui vini a menzione CLASSICO. Lo dice la Regione. Mi sembra lo stesso sia per il Soave Classico.

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  4. Purtroppo un misto di ignoranza, malafede e supponenza condiziona questa scelta che ormai, soprattutto per i bianchi e per i rosati mi pare obbligata.
    L'ignoranza è dei ristoratori che considerano lo stelvin alla stessa stregia del tappo a vite di una trentina d'anni fa, non sapendo, per ignoranza appunto, che si tratta di cose completamente diverse. E fino a qui sarebbe sufficiente un po' di educazione o di imitazione verso qualche ristoratore di "tendenza" che sposi lo stelvin.
    La supponenza è di molti cosiddetti "esperti del mondo del vino" cui verrebbe a mancare quel rito quasi da loggia massonica segreta che è l'apertura di una bottiglia col tappo di sughero (salvo poi compiere la stessa operazione anche con uno squallido tappo sintetico con tanto di annusata finale e vi giuro che l'ho fisto fare). E qui le cose si complicano: più facile combattere l'ignoranza che la supponenza.
    La malafede lascio a ciascuno dedidere dove sia di casa.
    Basterebbe che i disciplinari delle DOC permettessero l'uso dello stelvin. Ma, si sa, le tradizioni, soprattutto quelle assurde, sono dure a morire. Anche quella di consentire di vendere vino DOC sfuso o in fusto d'acciaio.
    Però lo stelvin no!

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  5. Buongiorno, Angelo,

    mi permette un paio di puntualizzazioni?

    Innanzitutto, trovo alquanto scorretto, oltre che inesatto, definire tutti i tappi sintetici tout court come "quegli orrendi moccoli in plastica, duri come il sasso, che il vino te lo fanno ossidare in pochi mesi"; ci sono produttori che forniscono chiusure sintetiche di ottima qualità, che oramai garantiscono una tenuta irreprensibile anche per 4 o 5 anni (come dimostrano i recenti lavori dell'Univeristà di Udine, presentati ad un convegno della SIVE lo scorso dicembre), che purtroppo convivono con tappacci come quelli da lei mensionati. Ma fare di tutta l'erba un fascio sarebbe come affermare che tutti i vini "fanno schifo" dopo aver assaggiato un vinaccio dozzinale.

    Inoltre, siccome non penso che lei riceva per questo un compenso dall'Alcan, la invito a chiamare le capsule a vite - questa è la denominazione corretta - col loro nome, e non col marchio commerciale di un produttore, che sarà anche stato il primo a rilanciare questa tipologia di chiusura, ma non è certo l'unico, e forse nemmeno il principale a livello mondiale (ruolo che almeno fino ad un paio di anni fa era dell'azienda alessandrina Guala Closures - non ho dati più aggiornati in merito).

    cordialmente

    giuliano boni

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  6. @Giuliano. Grazie delle puntualizzazioni, che però vorrei, come dire, ri-puntualizzare.
    Sul primo punto, ho detto "quegli", non "tutti". In ogni caso, per me che amo far invecchiare il vino, 4-5 anni di perfetta tenuta non sono granché rassicuranti.
    Sul secondo punto, credo di essere tra i pochi che chiamano "capsula a vite" la capsula a vite (capsula, non tappo: l'ho ribadito più volte). E dico Stelvin ben sapendo che è un marchio industriale. Ma non si dice forse comunemente bic alla penna a sfera (e Bic è marchio industriale) e scotch al nastro adesivo trasparente (e Scotch è un marchio industriale)?
    Come dicono i naturaliti, è l'uso che fa l'arto. E dunque non mi pare così azzardato parlare dello Stelvin come di una capsula particolarmente efficace. A meno che non si abbia il ruolo di rivenditore di altro marchio, ovviamente.

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  7. Sarò che io la penna a sfera la chiamo biro, e di Scotch me ne concedo un sorso di tanto in tanto, quando non devo guidare...

    Visto che dal link si capisce benissimo chi sono e che cosa faccio, la velata insinuazione di essere un rivenditore concorrente la considero solo un malriuscito tentativo di arte dialettica; mi limito solo a notare che l'espressione "Non c'è motivo per rischiare con altre chiusure, e soprattutto di seguitare con quegli orrendi moccoli in plastica, duri come il sasso, che il vino te lo fanno ossidare in pochi mesi." è difficile non interpretarla come rivolta alla totalità dei tappi sintetici, e che i 4 o 5 anni da me citati sono evidentemente in contrapposizione ai pochi mesi da lei evocati.

    Non ho mai scritto, perché non lo penso, che un tappo sintetico sia raccomandabile per ogni tipo di vino, ed in particolare non lo è per i vini da invecchiamento, ma non era questo l'oggetto delle mie osservazioni, come lei ben sa.

    Sono anch'io convinto che molti vini (anche in questo caso, non tutti) trarrebbero giovamento dall'uso della capsula a vite, ma sono altresì persuaso che un'informazione precisa, a rischio di essere pedante, possa solo giovare alla causa.

    giuliano boni

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  8. @Giuliano. Velata insinuazione? Ma per piacere! Certo, ognuno può leggere quel che vuole in quel che scrivono gli altri. Per quel che scrivo io, preferirei si leggesse testualmente quel che, appunto, scrivo: avessi qualcosa da dire non sarei proprio velato, mi creda, così come non lo sono mai stato. Quanto alla "precisione dell'informazione", due osservazioni. La prima: la precisione dell'informazione, mi creda, non ritengo proprio ce l'abbia nessuno, ché di assoluto al mondo non credo ci sia molto. La seconda: quest'InternetGourmet non è una rivista tecnica. Qui si esprimono opinioni. La mia, la sua. Per approfondimenti tecnici direi che è preferibile, appunto, andare a vedere le pubblicazioni tecniche, magari come la sua, che seguo con interesse.

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