Angelo Peretti
Ecco, questo è Amarone. Intendo quello che ho bevuto a Vinitaly, e che sotto cerco di raccontare. Amarone d'antan, con qualche bell'anno sulle spalle. Perché se sei fortunato, in fiera può capitarti di tastare anche bottiglie che non sono le ultime uscite sul mercato, ma magari hanno qualche bell'annetto sulle spalle e sono state portate per qualche particolare private tasting per un importatore americano, un giornalista d'una testata internazionale, o anche solo per lo sfizio del produttore. E mica tutti se lo possono permettere di tirar fuori di cantina vecchie annate, ché in Italia si ha il viziaccio di vender tutto (o almeno provarci) senza tenere archivio delle vendemmie. Errore clamoroso, indice d'un mondo enoico di fatto in genere fiorito a far data dalla metà degli anni Ottanta, e dunque ancora con poca storia ed esperienza.
Non è nata certo negli anni Ottanta la Masi, azienda che ha sede nel cuore della Valpolicella. E al cui stand, grazie all'ospitalità della famiglia Boscaini, ho avuto la fortuna di riprovare l'Amarone di tre annate che giudico per certi versi molto vicine, capaci di produrre vini in grado di superare bene il tempo: il 1988, il 1990 e il 1995. Non a caso, nelle valutazioni del consorzio di tutela valpolicellese, entrambe son giudicate vendemmie al top, a cinque stelle. Così come il '97 o il 2000. Con la differenza, dico io, che queste sono state annate che han dato magari vini un po' più pronti, d'impatto più immediato, di pienezza magari anche maggiore, e crtamente di più agevole lettura, ed è però da vedere se abbiano la stessa capacità di reggere che, a mio avviso, dimostrano gli altri tre millesimi.
In particolare, dell'88 e del '95 aggiungo che sono vini nati mica dolci, ma piuttosto secchi invece, e terragni ed acidi. Non a caso.
Ora, l'88 la ricordavo come un'annata di gran bell'Amarone, giocato sull'eleganza. Intendo: elegante era quello migliore, di chi cioè sapeva mettere in campo ottime uve e conclamata esperienza di fruttaio (per gestire l'appassimento) e di cantina. Di fatto, il rosso valpolicellista cominciava allora a diventar famoso, e dunque non c'era ancora la corsa a far Amarone ad ogni costo. Fu di certo un'ottima annata, che regalò vini di bell'approccio. E così mi si è rivelato il vino della Masi. Colore non particolarmente carico, naso evoluto, impostato su aristocratici e decadenti toni di fiori essiccati, di uva appassita, di spezia. E poi è setoso nel tannino, tuttora di bell'impianto. Gran bell'Amarone, riconoscibilissimo nei canoni storici della Valpolicella.
Quand'uscì l'Amarone del '90 eravamo già in ascesa di successi e di volumi, ma ancora era tempo di vino figlio d'impostazione tendenzialmente tradizionale. Fu quella con evidenza annata che esaltò il frutto, e l'Amarone (poco, per i motivi di cui sopra) di quell'anno che m'è capito di stappare di recente l'ho spesso trovato appunto godibilissimo dal lato fruttato. Così è apparso anche il vino della Masi: rosso del tutto piacevole, con l'alcol poco esposto e il tannino vellutato. Un vino che può piacere praticamente a chiunque, ché sa unire la personalità e la morbidezza, il che la dice lunga su quale sia la formula magica della piacevolezza amaronista. Un bellissimo vino, intendo, che sa stare in tavola, che si fa bere, e non solo degustare.
Il '95 appare di certo più caratteriale - più ostico, potrei dire - sia dell'88 che del '90, e così è in genere l'Amarone di quest'annata, per me notevolissima. Rosso, questo della Masi, giovane assai nel tannino e nella freschezza, e dunque - per chi vuole e chi può - da prendere e mettere in cantina per dimenticarlo ancora un po': credo che alla fine acquisterebbe ancora in eleganza, in nobiltà. Ché lì sotto senti un frutto che freme per uscire finalmente liberato, e devi dunque attenderlo nel bicchiere. Ma ti sa poi regalare bella emozione. Vino da invecchiamento, ne son certo. E ancora, come l'88, un Amarone davvero capace d'esprimere la classicità valpolicellista. Ecco: amo l'Amarone del '95, ed è un peccato che se ne trovi poco in giro.
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