21 aprile 2010

Ma non è che abbiamo paura del vinino?

Angelo Peretti
Del convegno di Vinitaly co-prodotto con Santa Margherita sul “mio” vinino s’è cominciato a discorrere sul web. Il primo a scriverne, subito dopo l’appuntamento veronese, è stato Stefano il Nero. Che a suo tempo era stato colui che mi aveva dato il la per lanciare, appunto, l’Elogio del vinino. “È stato un successo - dice - e tutti contenti ma veramente tutti”. E più avanti: “L’idea del vinino corre nel dibattito e si dimostra valida perché fa riscoprire le radici profonde del vino, le sue tradizioni, lo fa apprezzare per il suo terroir, perché punta ad allargare la base dei consumatori con uno strumento veramente in grado di farlo ed una metodologia adeguata proponendosi come compagnia giornaliera sulla tavola nella famiglia”. Poi, entra nel cuore della questione: “La domanda sospesa rimane ‘si deve davvero chiamare vinino o che alternativa?’, un nome che non piace a troppi diventa il simbolo della paura di farcela, il comprensibile timore di aver trovato una strada, cosa rara di questi tempi. L’esortazione dalla sala è quella a continuare nella analisi e nella ricerca di una strategia, questa pare essere una occasione unica nella storia del wine-world, potremmo avere presto un nuovo prodotto senza dover piantare nuove vigne o studiare nuovi affinamenti. Bisogna andare avanti, la cosa non può finire qui”.
Va bene, prendo atto che bisogna andare avanti.
Maria Grazia Melegari sul suo blog Soavemente a proposito del convegno scrive, magari un po’ troppo entusiasticamente, così: “Un vero evento, credetemi: forse non stiamo facendo la rivoluzione, ma poco ci manca!”. Però ammette: “Per più d'un produttore il termine vinino suona riduttivo, non piace. Forse bisognerà trovare un altro termine. Bisognerà studiarci un po'.”
Va bene, capisco che bisogna rifletterci se si vuole andare avanti.
Ne parla anche Elisabetta Tosi sul suo Vino Pigro. Così: “La sostenibile leggerezza del bere. Alla degustazione-dibattito sulla piacevolezza del bere si è aperto un nuovo fronte di discussione: come si riconoscono questi vini? quando un vino può a buon diritto definirsi... ino? In attesa di risposte, mi sono guardata in giro. La degustazione era affollata, i vini in degustazione cinque (li accompagnavano gli ottimi snacks della Scuola di Alma, e generosi vassoi di prosciutto crudo).
Alla fine del tasting i bicchieri erano vuoti. Tutti. Vinini: quelli che finiscono.”
Wow! Bella questa definizione di vinini: sono i vini di cui vuoti il bicchiere e anche la bottiglia.
Chiudo con la citazione-flash di Slawka G. Scarso su Marketing del Vino: “Tavola rotonda dedicata ai ‘vinini’ e nel pieno spirito del tema una volta tanto al Vinitaly si beve più che degustare. Tante belle facce, aggiungo un volto a qualche penna”.
Chiudo tornando a Stefano il Nero. E stavolta cito il suo titolo: "Cronache dal Vinitaly 2010: il vinino è un successo che fa... paura". Mi ha fatto riflettere. Non è che abbiamo davvero paura del vinino? Un po' come c'è paura della capsula a vite. Non è che abbiamo paura di cambiare?

2 commenti:

  1. Il nodo è proprio qui: bisogna esserne convinti, della validità dei "vinini", ed anche entusiasticamente, altrimenti la paura rischia di far fare passi indietro. Avrò forse usato termini un po' forti, ma il tuo interrogativo finale, Angelo, conferma che di rivoluzione si tratta.
    Si ha paura del nuovo, o di ciò che rompe gli schemi, senza contare che i vinini, come ha detto bene Fabio Piccoli, son difficili da fare, a volte difficilissimi.
    E benchè sappia che il termine non è del tutto grammaticamente corretto, ripropongo il simbolico termine "unless wines" ...

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  2. Non si capisce però, da dove nasca questo senso di paura, che io sinceramente non riesco a percepire o definirne bene i contorni.
    Si può avere una titubanza di tipo terminologico; e questo è legittimo. Per quanto mi riguarda, gli aspetti formali li ritengo secondari, nel senso che un nome vale l'altro. L'importante secondo me, è mantenere alto lo standard qualitativo dei vinini e renderli il più possibile accessibili alla gran massa dei consumatori. Senza per questo architettare forzose cotrapposizioni con i vini di maggior spessore, perchè in questo modo si rischierebbe di tracciare un solco tra le due tipologie, con possibili negative conseguenze sul gradimento del mercato.

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