30 aprile 2010

La formula della felicità, ossia: il vino che non sa comunicare

Angelo Peretti
Ecco, queste son le cose che ti fanno capire che il mondo del vino, nonostante "se la tiri" tanto, è lontano anni luce dalle logiche del marketing. Le cose in questione son quelle contenute nella campagna pubblicitaria della Coca-Cola. Quella della "formula della felicità". In particolare lo spot televisivo, firmato nientepopodimeno che da Giuseppe Tornatore, premio Oscar.
La storia la conoscete - penso - tutti: imperversa sulle reti tv. Si parte da Atlanta, nel 1886, quando nei bar della città compare una nuova bevanda, la Coca-Cola appunto. Poi ci si trasferisce nell'Italia degli anni Cinquanta, dove una mamma, la signora Anna, durante un pranzo in famiglia porta in tavola delle bottigliette di Coca-Cola, per la felicità dei famigliari. Così fa scoprire ai suoi cari "la formula delle felicità". Si finisce ai giorni nostri, con una famigliola - appunto - felice che sorseggia Coca-Cola a tavola: perché "la formula della felicità in tavola è un piacere che tutti possono scoprire ogni giorno".
La campagna è stata sviluppata in Italia da Bcube, agenzia indipendente del gruppo Publicis: chapeau.
Però mi incavolo a pensare come l'idea della famiglia, della convivialità, della quotidianità l'abbia saputa sviluppare e valorizzare solo la multinazionale della più celebre fra le bevande gassate. Mentre questi sono - dovrebbero essere - valori storici del vino, nell'Italia della tanto decantata e poco seguita "dieta mediterranea".
Ecco, la "formula della felicità" dovrebbe essere quella del bicchiere di vino che, con moderazione, accompagna la pasta e le verdure sul desco quotidiano. Invece niente, il mondo del vino italiano abdica, e lascia che la propria tradizione diventi appannaggio della bibita scura. Impegnato com'è a rincorrere fuorvianti standard internazionali, non si accorge che l'italianità della tavola gli viene scippato dalla Coca-Cola.

5 commenti:

  1. D'accordissimo con te sul fatto che ci si occupa più del rincorrere l'internazionalità invece di comunicare la tipicità, storicità e culturalità che il vino ha.

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  2. Giordano (info@t-studio.it)30 aprile 2010 alle ore 09:21

    Tutto questo perchè, nonostante tutto, le cose vanno ancora bene e ognuno ha ancora interesse a coltivare il suo orticello e non a fare sistema, i Consorzi poi si muovono con le difficoltà che conosciamo. La mancanza di lungimiranza ci pone sempre nelle condizioni di cercare il rimedio quando la malattia è conclamata. Il discorso poi della Coca Cola è un pò diverso perchè è una multinazionale con una potenza di fuoco assolutamente superiore a quella che potrebbero mettere in campo i nostri produttori... non c'è paragone !!

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  3. Forse ti dimentichi le belle pubblicità Tavernello e Galassi, con tutta la famiglia unita, il genero che accompagna il suocero in cantina e un bel pranzo in una solare compagna a base di tavernello...oppure slogan come le bon ul vin in carton...ma il marketing in Italia a molti livelli è ancora una parola misteriosa, una spesa senza un chiaro ritorno. Riccardo Passoni

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  4. @Giordano. Coca-Cola è riuscita a suscitare un'emozione. Il vino è spesso autoreferenziale.
    @Riccardo. D'accordissimo: solitamente in Italia non si bada a "misurare" il ritorno delle campagne di marketing, così come non si effettuano adeguate indagini di posizionamento prima di buttare soldi in inutili campagne pubblicitarie. O meglio: se le indagini si svolgessero, le inizitiave pubblicitarie non sarebbero poi così inutili. Ma quando lo spieghi, ti prendono per un marziano, o al massimo per uno che ha tempo da perdere in chiacchiere inutili.

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  5. Puntuale ed arguto, Angelo, come sempre!!!
    A proposito di marketing, e di come dovrebbe funzionare questa scienza (???) invito chi ne abbia voglia a leggere il libro di Mario Magagnino intitolato "Verona, provincia di Gardaland". Si trova anche su internet.

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