28 aprile 2010

La teologia del vino

Angelo Peretti
Andrew Jefford è l'editorialista che si occupa dell'Australia su Decanter, il mensile britannico che è tra le testate top al mondo per quel che riguarda il vino. La sua pagina sul numero di maggio ha per titolo "The theology of wine", la teologia del vino. Articolo da leggere.
Da leggere, sì, perché affronta la materia vinicola con una visione quasi metafisica. Come ormai non si fa più da tanto, tanto tempo. E lo fa grazie a quel che gli ha raccontato un vignaiolo: Tim Kirk, di Clonakilla, nel distretto di Camberra.
Bene, Kirk ha dichiarato di lavorare "mano nella mano col Creatore". D'essere, in fondo, nulla di più che - diciamo così - un collaboratore del Padreterno. Affermazione che potrebbe sembrare eccessiva davvero, o almeno bizzarra, se non fosse che winemaker ci fa su un ragionamento che al tempo stesso ti lascia sbigottito e ti fa pensare.
"Come cattolico praticante - spiega (traduco dall'inglese) il vigneron d'Australia - ho un credo fondamentale, quello che c'è amore nell'universo, che c'è il divino, che Dio è un buon Dio e che ha creato l'universo come atto d'amore. Ci sono vari mezzi attraverso i quali Dio si rivela, e ovviamente il primo è la creazione. Ciascuno - qualunque sia la sua fede, il suo colore, la sua storia personale - può guardare la terra e stupirsi della bellezza dell'universo creato. Amo l'idea che il vignaiolo abbia il dono di lavorare col paesaggio, con l'universo creato, con la terra sacra, per creare a sua volta qualcosa di bello. Io sono giusto una parte del terroir. La gloria è di Dio, perché questo è il suo meraviglioso mondo. Per me, un grande vino è la prova che da qualche parte nel cuore della creazione ci deve essere il divino".
Ecco, sentire un uomo del vino che parla così, e non di tecniche di cantina o di pratiche agronomiche, di andamenti climatici o di pratiche enologiche, ti lascia a bocc'aperta, non c'è dubbio. Prospettive diverse. E riflettendoci ti viene in mente che, sì, forse un simile affidamento al divino è dentro la storia del vino. Solo che ce ne siamo dimenticati.
Ma non sono, le sue, ciance per giustificare - autogiustificare - una più o meno presunta e quasi fatalistica naturalità enoica. Non è che dicendo che ci pensa il Padreterno il vino venga fuori come viene. Nossignori: "I suoi vini - scrive Jefford a proposito di Tim Kirk - sono fra i più tecnicamente sicuri del paese". E c'è una spiegazione, a questa perfezione stilistica. Una spiegazione così elementare che quasi non ti viene in mente da subito. Questa: "Se un produttore crede che Dio gli abbia in qualche modo dato il compito di manifestare la sua magnificenza, è chiaro che questo ci metterà un'attenzione infinita a ogni dettaglio del suo lavoro". Illuminante. E spiega tante cose.
Per esempio, spiega - può spiegare - come sia nata la straordinaria bellezza dei vini di Borgogna. Ché Andrew Jefford ricorda che furono i monaci a far nascere il mito enologico borgognone. E non erano forse, questi uomini, strumenti della grazia di nostro Signore? Non si consideravano forse tali?
Spiazzante.

5 commenti:

  1. Penso che Dio è bene lasciarlo a posto suo. Questo intreccio con le tematiche vinicole, svilisce i contenuti spirituali e anzi mi puzza di strumentalizzazione. Posso capire queste stesse considerazioni fatte da un teologo o comunque all'interno di un'analisi complessiva della realtà, rivolta a spiegarne i significati o i misteri; ma da un winemaker francamente non saprei che farmene.
    Mi sembra insomma del tutto fuori luogo e al contempo non mi fa avere grossa considerazione di quel vigneron.

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  2. Invece io trovo assolutamente interessante il suo punto di vista. La visione religiosa del mondo ha segnato un po' tutta la storia agricola ed alimentare, fin dalle origini. Non vedo perché non possa continuare a farlo. Questioni di punti di vista: oggi c'è magari più fede nella tecnologia, ma poi ci lamentiamo perché nascono prodotti privi di personalità. Dove sta il giusto equilibrio?

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  3. Perchè mettere la tecnologia in contrapposizione alla spiritualità?
    E poi caratterizzare il settore vitivinicolo solo nell'aspetto tecnologico, mi sembra riduttivo.
    Si, le considerazioni australiane sono effettivamente spiazzanti...ma in senso negativo.

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  4. Umanesimo versus razionalismo (o viceversa): è la consueta disputa del mondo del vino. Solo che il terroir si nutre del primo. Solo in Italia ormai pensiamo che viva invece del secondo, e infatti più in alto di tanto non riusciamo a volare.

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  5. Ci sono più misteri tra terra e cielo che granelli di sabbia nel deserto .... ben venga la viticoltura e anche l'enologia religiosa, se non altro per ricondurre possibilmente il tutto almeno ad una coscienza etica

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