Angelo Peretti
Una delle mie passioni è quella di ascoltare musica. Soprattutto in viaggio, in macchina, per mancanza d'altro tempo. Acquisto una marea di cd. Forse un po' troppi. Ho ricomprato molti dei dischi che avevo già in vinile: roba degli anni Settanta e Ottanta. Qualcuno perché è decisamente bello, qualcheduno per una sorta di collezionismo antologico, qualcun altro spinto dalla nostalgia.
Capita talvolta che, non riascoltandola da lungo tempo, metta nel lettore qualche incisione di quegli anni. Chessò: brani del periodo che s'usava chiamare del progressive rock, quello che aveva qualche assonanza con la classicità, rivisitata con gli strumenti elettronici. Spesse volte ritrovo quelle musiche datate: si riferiscono a quel preciso periodo, coi pregi, ma anche coi difetti evidenti e a tratti quasi infantili di quel tempo, con un suono che è proprio di quella circoscritta, breve epoca, e così finiscono per avere il fiato corto, col loro essersi cristallizzate in un decennio o anche meno.
La medesima impressione mi sovviene a volte stappando qualche bottiglia degli anni Novanta, sia essa italiana, francese o d'oltreoceano o dei nuovi mondi. Molte volte ricevendone la stessa impressione che ho, oggi, di tante musiche dei decenni andati.
M'è capitato di recente bevendo una bottiglia d'un taglio bordolese fatto in California. L'Alluvium '95 di Beringer, dalla Knights Valley, nell'area di Sonoma, California. In controetichetta è scritto che viene da uve di merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot e malbec: tutta l'ampelografia rossa di Bordeaux. Vino ben fatto, enologicamente parlando. Ed anche tutto sommato piacevole da bere. Ma chiaramente attribuibile proprio a quel preciso periodo: la metà degli anni Novanta. Quando il gusto bordolese-parkeriano dominava, imperava nel mondo del vino.
Ecco, questo mi son detto, bevendolo: "Quest'è un classicissimo, tipicissimo esempio di quello stile di far vino, e dunque è oggi databile e datato". Al naso, mentolo ed eucalipto. In bocca, frutto surmaturo e liquirizia e a tratti memorie di terra rossa bagnata e un tannino ben presente ma anche ben modulato. Nessuna sbavatura dal lato tecnico, insomma. Un bordolese in perfetto stile internazionale, e per chi ama appunto quello stile è una bella bottiglia, così com'è bello riascoltare il progressive per chi è rimasto legato a quel genere di musica. Ma è, per assurdo, questa sua perfezione che diventa per me imperfezione: è un vino che racconta una tecnica e un'epoca, ma non una personalità e un terroir. Così come tanti altri vini del periodo, che magari allora avrei applaudito - come applaudivo il progressive degli anni Settanta -, ma che oggi trovo irrimediabilmente datati.
Capisco che forse son prevenuto, che magari sono anch'io succube delle mode. Ma che volete farci: i tempi cambiano, e certe infatuazioni finiscono. Resta l'essenza, che sta nell'umanità e nella terra.
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