4 ottobre 2009

The Wine Trials

Flavio Tagliaferro
Da un po’ di tempo sugli scaffali di Whole Food (il supermercato organico più trendy negli States) si trova un libro piuttosto interessante. Il titolo è “The Wine Trials”, sottotitolato: un libro critico senza paura. Autore Robin Goldstein, fondatore di Fairless Critic Book Series, critico gastronomico, chef e sommelier, nonché autore di guide di viaggio, scritto con il supporto di collaboratori sparsi per mezza America, ed un comitato scientifico di primordine.
Come sapete, i più famosi Trials sono quella competizione tra atleti che si tengono negli Stati Uniti per decidere che parteciperà alle Olimpiadi. In questo caso l’autore del libro si ispira al meccanismo dei Trials per mettere uno contro l’altro i campioni di vino di due categorie: vini che costano dai 10 ai 15 dollari a bottiglia, contro vini che costano da 50 a 150 dollari a bottiglia.
Ovviamente tutti gli assaggi, cui hanno partecipato professionisti del settore e non, sono stati tenuti alla cieca, utilizzando il classico sacchetto di carta per coprire le bottiglie.
Il rigore scientifico della ricerca si commenta da solo: 507 assaggiatori in rappresentanza del mercato americano, dal professionista master sommelier al consumatore di ogni giorno; quasi 600 vini assaggiati e selezionati per categorie come: bianchi leggeri del nuovo mondo, o rossi corposi del vecchio mondo; statistiche curate scientificamente dal comitato di garanzia; wine tasting in due round con etichette rivelate dopo l’assaggio, ma anche prima per vedere quanto la marca influenza l’opinione finale; una scheda esemplare studiata per facilitare il giudizio di esperti e non. Il senso dell’esperimento, è stato quello di dimostrare che in un mercato molto confuso, dove i prezzi sono arbitrari, le etichette difficili da interpretare, e le guide spesso di parte, il consumatore americano è completamente alla mercé del mercato stesso.
I consumatori di solito scelgono i vini basandosi su tre criteri: costo, rating delle guide, e marca. La gente compra il vino non basandosi su ciò che veramente piace, ma per un fatto di marketing, di etichette che scioccano e non rappresentano il contenuto, basandosi sul falso parametro che più costoso è uguale a più buono, e usando le guide come bibbie.
A questo punto non credo sia difficile capire come è andata a finire.
I vini tra i 10 e 15 dollari hanno letteralmente stracciato i più blasonati avversari.
Tanto per citare degli esempi il Brut di Chateau S. Michel (12 dollari al supermercato) vince 3 a 1 contro Dom Perignon (150 dollari a bottiglia), il cabernet da 9 dollari di Beringer vince contro il Cabernet Riserva da 120 dollari della stessa cantina!, il Vinho Verde Portoghese da 6 dollari a bottiglia sorpassa il Chassagne Motrachet di Louis Latour da 50 dollari.
Il motivo che l’autore rileva è che il palato dei consumatori americani è molto meno evoluto di quello dei critici e quindi i consumatori d’ogni giorno non sono in grado di riconoscere le diverse sfumature dei vini più costosi e più apprezzati dalle guide.
Quindi si chiede ancora l’autore, chi o che cosa fa il mercato?
Perché la totale mancanza di correlazione tra il piacere ed il prezzo spinge, nonostante tutto, il consumatore a comprare il vino più caro? Risposta: il sapore dei soldi, vino costoso quindi buono. È l’effetto placebo indotto dal prezzo del vino.
Perché i consumatori spendono fior di soldi per comprare vini che solo gli esperti ed i critici apprezzano? Risposta: per il piacere di comprare un vino costoso. L’esperienza cambia e si fa più intensa, quando sappiamo di assaggiare un vino costoso. Comprare un vino costoso è un’esperienza che può dare lo stesso appagamento che comperare una costosa giacca firmata. Non per niente LMHV possiede Gucci e Moet Chandon, quindi Dom Perignon, Christian Dior e Chateau D’Yquem.
Perché a dispetto del fatto che questo esperimento ed altri dimostrano che i prezzi dei vini sono arbitrari, le guide gastronomiche si ostinano a premiare i vini più costosi? Risposta: domanda cardine. Come le guide possono essere obiettive, quando gli stessi vini giudicati nella guida appaiono a tutta pagine nella pubblicità a pagamento nella guida stessa? Come possono essere obiettive quando produttori a critici pranzano regolarmente assieme? Perché non una delle più prestigiose guide ha un solo vino che supera i 91 punti e costi meno di 10 dollari?
Domande piuttosto interessanti, vi pare? Personalmente se la metto sul piano costo-piacere, mi viene da ridere pensando, ad esempio, alla ratio di cui sopra per certi Supertuscans, tanto per dirne una.
Alla fine cosa c’e’ di male in tutto questo? Potremmo rispondere: “Niente, è cosi che va il mondo”. Ma a questo punto sorge una domanda: “Se il prezzo da solo può convincere i consumatori che il vino è buono, perché i produttori dovrebbero sforzarsi a fare meglio, a diversificarsi, a fare vini che rappresentano il territorio invece che ricorrere l’omologazione?”
Ma attenzione, non e’ detto che la cuccagna sia infinita. Argentina, Australia, Cile e Spagna stanno portando sul mercato vini fatti molto bene e dal costo molto competitivo.
Vi assicuro che si può bere molto, ma molto bene con bottiglie che costano meno di 15 dollari in negozio.
Per finire alcuni dati.
Vincitori assoluti in questa speciale classifica, con il maggior numero di vini nei primi 100: Spagna, con 14 presenze, che spadroneggia nei rossi, seguita da Italia e Francia, con 10 presenze, e poi il nuovo mondo con Argentina, Cile e Australia (un dato impressionante, Yellowtail vino da tavola Aussie, Chardonnay tutto burro, vaniglia e oak, come piace agli americani, fa 100 milioni di vendite annue nei soli Stati Uniti)
Tra gli Italiani, Feudi di San Gregorio Falangina, vincitore di categoria, Santi Pinot Grigio, Kuttmeir Pino Grigio, Vitiano Falesco, Rotari Brut e, sorpresa delle sorprese, un solo Chianti a dispetto del fatto che ne sono stai assaggiati in gran numero.
Un ultimo suggerimento: volete proprio divertirvi/replicate quest’esperienza con gli amici? Il divertimento è assicurato.

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