Angelo Peretti
Terence "Strappo" Hughes è un wine writer newyorkese che conosce piuttosto bene il vino italiano, tant'è che ne fa anche importazione e distribuzione.
Ha un suo wine magazine, Mondosapore, e un blog, Muddy Boots.
Ed è un fan del vinino. Al punto che ne ha parlato proprio su Muddy Boots, gli "Stivaloni infangati", ché il fango sulle scarpe è appannaggio di chi, come diceva Gino Veronelli, cammina le vigne.
Il post s'intitola "In praise of vinino", in lode del vinino. E diffonde presso i lettori a stell'e strisce (ma ho visto che l'ha ripreso perfino un produttore francese) il "verbo", appunto, del "mio" vinino. Il che mi commuove.
Ho provato a tradurre il testo di Terry. Chi non si fida della traduzione (e fa bene...) può sempre leggersi l'originale in inglese.
Ecco qui sotto le (più o meno) sue parole italianizzate.
Qualche mese fa Angelo Peretti, un wine writer della zona di Verona, ha scritto un post nel quale ha lodato le virtù dei "vinini" - piccoli vini - collocandoli in opposizione ai vini grossi, stragonfiati (vinoni) fatti per conquistare consensi della critica e alti punteggi nelle degustazioni.
Per quel che concerne i vinini, Peretti dice chiaramente che non sono vini insignificanti. Quel che vogliono è essere facili da bere, piacevoli da assaggiare, giocosi da dividere con gli amici. Vini del genere sono la "strumentazione" che lubrifica la chiacchiera disimpegnata e i legami sociali; non sono l'argomento principe di conservazione e certamente neppure l'oggetto di prolisse analisi e argomentazioni.
Nel suo un po' pomposo "Elogio del Vinino, o Manifesto per la Piacevolezza dei Vini da Bere", Peretti elenca un chiaro set di contrapposizioni:
- vini facili da bere (più leggeri, meno alcolici, bilanciati) contro i mostri-legnosi super-acolici concentrati in maniera colossale
- vini da da bere contro vini da assaggiare
- vini da condividere e godere con gli amici contro quelli da analizzare criticamente
- vini fatti secondo il gusto personale del singolo produttore (quello legato al proprio territorio e alle sue tradizioni) contro quelli fatti secondo l'idea internazionale di cosa sia un buon vino
- vini che sono quel che sono - nervosi, perfino imperfetti - contro quelli fatti secondo una precisa formula, mirando alla perfezione tecnica
Be', avete capito. Si tratta di un'elegante presentazione dell'attuale disaffezione con l'odierna cultura del vino e la sua ossessione del "più" e del "meglio" così come li hanno definiti una schiera di degustatori le cui degustazioni si stanno facendo esangui.
Quel che mi piace dell'approccio di Angelo è che non predica un qualche ideale di vino "naturale" o biodinamico, che mi desta qualche sospetto perché sta diventando una specie di ortodossia non meno rigida e concettualmente sbagliata della mania "internazionale", in opposizione alla quale è fiorita. Peraltro, questo implica credere il produttore sulla parola, il che, francamente, non è mai la cosa migliore da fare. (Scusate, ragazzi, lo so. Anche voi dovete vivere).
Niente di tutto questo per Angelo. Lui centra l'argomentazione sull'esperienza del piacere (l'edonismo!) nel contesto della convivialità. Questo ha profonde risonanze nella nostra cultura - i simposi dell'antica Atene, l'utilizzo rituale del vino nel Cristianesimo e nella religione ebraica, i canti bacchici e goliardici degli studenti medievali, gli Sherry parties delle nostre bisnonne, i pranzi della domenica in Italia, in Francia, in Spagne, ecc. ecc.
Va bene, ce n'è abbastanza.
Cosa ci beviamo con i nostri "amici" stasera?
Quali sono i vostri suggerimenti per dei deliziosi, bevibilissimi vini?
Questo per me funziona: Sannio Piedirosso Mustilli.
Grazie mille per l'ottima traduzione, Angelo. E per l'uso degli stivali -- da una foto scattata alla casa di Emidio Pepe.
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