9 dicembre 2009

Vignerons, ok: ma in etichetta che ci mettiamo?

Angelo Peretti
Ho riportato anche su questo mio InternetGourmet il testo del Manifesto dei Vignerons d'Europe siglato a Firenze. Dopo due giorni di dibattiti svoltisivi a Montecatini, presenti in un migliaio i vignaioli, arrivati - dicono le cronache - da una ventina di nazioni. Mica male.
Mi fanno piacere, in particolare, due delle affermazioni del testo programmatico. La prima: "Il vignaiolo governa il limite in tutti i suoi impegni ricercando l’ottimo, mai il massimo". La seconda: "Il vignaiolo pratica la trasparenza: dice quello che fa e fa quello che dice".
Ecco, è esattamente questo che, a mio avviso, ci vuole. in primis, la ricerca costante del meglio, eppure mai la spinta a fare sempre di più seguendo l'autogiustificazione del mercato. Oh, sì: capire i propri limiti e cercare ogni giorno di saltar di là dall'asticella, volendo l'ottimo, ma senza accelerazioni innaturali. Adoro il "carpe diem": prenditi la tua giornata e cerca di viverla al meglio, ma col senso del limite.
Poi, la trasparenza. E di questa ci sarebbe grande bisogno nel mondo. Non solo nel mondo del vino. Nel mondo. So che è utopistico arrivarci. Ma se iniziasse il vignaiolo, è già gran cosa.
Ma qui faccio mio le parole che Sergio Miravalle ha scritto su La Stampa, commentando in due righe il Manifesto dei Vignerons: "A questo punto sarebbe interessante che la qualifica di vignaiolo non venisse 'rubata' o camuffata e come consumatori dovremmo avere la possibilità di poterla riconoscere in etichetta".
Sono d'accordissimo. E quando sono in Francia, la risposta la trovo: sulle bottiglie dei vignaioli che aderiscono alla federazione dei vigneron indépendant c'è il marchietto dell'omino con la gerla in spalla che mi dice che quel tal vino è in regola con l'autodisciplina del gruppo. Gruppo grande e potente, una sorta di sindacato trasversale della categoria. Ne compro da anni le bottiglie dei soci: sempre presa gran bella roba.
In Italia è nata da non moltissimo la Fivi, la federazione italiana dei vignaioli indipendenti. Che ha come presidente un grande del vino come Costantino Charrère e vice Peter Dipoli e segretario il mio amico Giancarlo Gariglio. Persone sagge. E all'idea della Fivi ci credo. Ma sulle bottiglie dei soci non c'è ancora nulla che ne identifichi la condivisione d'un programma, d'una idea, d'un ideale, d'un valore accomunante. Ecco: finché le bottiglie dei vignaioli indipendenti italiani non avranno nulla che parli a voce chiara dell'appartenenza ad un progetto, quel progetto difficilmente avrà piedi capaci di camminare.
Ha ragione Miravalle: l'appartenenza ai valori dei vignerons "come consumatori dovremmo avere la possibilità di poterla riconoscere in etichetta". Nel nome della trasparenza. Perché così, come produttori, saremmo anche in grado di valutare la coerenza.

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