Angelo Peretti
Una circolare che Hervé Lalau, segretario generale della Fijev, la federazione internazionale dei giornalisti del vino, segnala un'imbarazzante e per certi versi anche irritante "anomalia" francese. O meglio, champagnista. Questa (cito, testuali, le parole): "Come ogni anno, la casa Champagne Louis Roederer ha consegnato i suoi International Wine Writers' Awards. E come ogni anno, i giornalisti e gli autori premiati sono anglofoni. Come ogni anno, gli articoli o i libri che possono essere presi in considerazione devono essere in lingua inglese. Come ogni anno, i giurati che selezionano i vincitori sono anglofoni".
Insomma, occorre capire l'antifona: o scrivi in inglese per delle testate in inglese, oppure quelli della Roederer non ti filano neppure di striscio. Prendo atto.
Oddìo, devo dire che mica solo la maison champagnista tiene un atteggiamento del genere: è una moda che trova qualche condivisione per esempio anche in qualche angolo di Toscana cintato da mura antiche. Epperò per uno come me che di Champagne ne beve parecchio e ne scrive anche un bel po' (per quel che conta, gli ho dedicato anche un rubrica su questo mio InternetGourmet), la consuetudine segnalata da Lalau non è che sia così tanto piacevole, e non già perché il sottoscritto ambisca al premio roedereriano, irraggiungibile.
"La Fijev - continua Hervé - si stupisce nuovamente che questo premio, malgrado sia consegnato da una casa francese, scarti così ogni candidato non anglofono, pur proclamandosi internazionale". Già, mi stupisco anch'io: e dire che l'Italia è uno dei migliori destinatari delle bolle franciose, ché ne tracanniamo parecchie. Vuoi vedere che ci tocca dare ragione al ministro Zaia e metterci a fare gli autarchici in fatto di bollicine?
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