Angelo Peretti
Un decreto legislativo ha recentemente modificato la normativa italiana sul vino: è del 12 marzo. Non sono di sicuro la persona più indicata, ché qui ci vorrebbe un tecnico del settore, ma vorrei cercare di fare - per quel che posso - il punto su cosa sia potenzialmente cambiato per i consorzi di tutela. Che non sono certo strutture di poco conto. E che avendo ora meno quattrini di prima, visto che il piano dei controlli è stato trasferito a società terze, e che con i controlli han perso i relativi incassi, dovranno darsi da fare non poco per conservarsi i propri soci, e quindi i mezzi per la sopravvivenza.
Ora, a regolare il mondo dei consorzi c’è l’articolo 17 (ohi, ohi: saremo mica superstiziosi, vero?) del decreto. E salta subito all’occhio una diversificazione fra quei consorzi che rappresentano in forma ampia la filiera produttiva, e quelli che invece han meno seguito.
Ordunque, un consorzio di tutela viene riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali se è rappresentativo di almeno il 35 per cento dei viticoltori e di almeno il 51 per cento della produzione della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica di competenza. In tal caso, il consorzio potrà “avanzare proposte di disciplina regolamentare” del prodotto interessato, e poi “espletare attività di assistenza tecnica, di proposta, di studio, di valutazione economico-congiunturale della dop o dell’igp, “nonché ogni altra attività finalizzata alla valorizzazione del prodotto sotto il profilo tecnico dell’immagine” e poi ancora collaborare alla tutela e alla salvaguardia della dop o dell’igp “da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio”. Ma “le funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi della relativa denominazione” le potrà svolgere solo nei confronti degli associati.
Diverso è se il consorzio ha maggior rappresentatività. Se insomma il consorzio in questione ha tra i propri soci almeno il 40 per cento dei viticoltori e almeno il 66 per cento della produzione. In questo caso l’organismo consortile avrà una potestà - come s’usa dire - “erga omnes”. Insomma: le sue decisioni varranno per chiunque utilizzi la denominazione, socio o non socio che sia. E l’eserciterà, questa facoltà, nelle funzioni “di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione”.
C’è di più: un consorzione di questo tipo potrà “definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria della denominazione interessata, l’attuazione delle politiche di governo dell’offerta, al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto dop e igp, e contribuire ad un miglior coordinamento dell’immissione sul mercato della denominazione tutelata nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto”.
Ma forse conta ancora di più il fatto che il superconsorzio avrà la possibilità di “agire, in tutte le sedi giudiziarie ed amministrative, per la tutela e la salvaguardia della dop o della igp e per la tutela degli interessi e diritti dei produttori” e “svolgere azioni di vigilanza, tutela e salvaguardia della denominazione da espletare prevalentemente alla fase del commercio”, senza sovrapporsi, ovviamente, agli organismi terzi di certificazione.
L’attività di vigilanza di cui ho appena detto consiste - dice il decreto - “nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari, e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni dop e igp”.
La cosa non è così banale, soprattutto se si pensa che “agli agenti vigilatori incaricati dai consorzi, nell’esercizio di tali funzioni, può essere attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”.
Apperò: se la cosa funziona, c’è aria di novità per il mondo del vino.
Photo: www.freefoto.com
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