26 marzo 2010

Manifesto 2010: dite la verità sul vino

Angelo Peretti
Ho già avuto altre volte occasione di riprendere gli editoriali che Matt Kramer (è lui nella foto qui accanto) firma su Wine Spectator. Già, quando m'arriva a casa la rivistona a stell'e strisce, ammetto che la prima cosa che vado a leggere è proprio il suo pezzo. Sono un suo fan, insomma.
Stavolta, sul numero di marzo, pubblica il suo "Manifesto 2010". Che invita i vigneron alla trasparenza. Chiedendosi: "Perché le aziende vinicole sono così riluttanti nel dire come fanno i loro vini? Colpa vostra, vedete".
Già, per farla breve e sintetizzare un po' a modo mio, è così che dicono i produttori, secondo Kramer: "Non diciamo di più perché la gente non capirebbe". Oppure: "Alla gente non interesserebbe". E invece capirebbe, oh, se capirebbe, e gl'interesserebbe. Perché? Perché, scrive l'editorialista di WS, le cose stanno così: "Nell'epoca dei web site, dei blog e delle applicazioni dello smartphone, l'abilità di raggiungere un pubblico non mediato da, be', gente come me, è senza precedenti. Diteci cosa fate e perché lo fate. Non siamo stupidotti come sembriamo".
E che cosa dovrebbero mai dire i produttori a quei finti scemolotti dei loro clienti? Parecchie cose, che non sono però quelle - o non tanto quelle - che gli iper-razionalisti vorrebbero a mo' di lista degli ingredienti sulle etichette. No, dovrebbero dire la verità, per esempio, su quant'alcol c'è davvero in bottiglia, ché la normativa permette di essere un po' troppo flessibili: mezzo grado di tolleranza da noi, perfino un grado e mezzo negli Stati Uniti quando si dichiarano meno di quattordici gradi (ed è una follia). Oppure spiegare se si sono adottate tecniche di dealcolizzazione, qualunque essa sia. Ovvero se si sia ritoccata l'acidità, e come. E via discorrendo. Tutte informazioni interessanti, ma mica per far le pulci alle aziende e alle loro pratiche di cantine. Semplicemente perché è bene dire, così come è bene sapere.
Ecco, quest'è una cosa che effettivamente il mondo del vino non fa: dire cosa succede in cantina. Spiegare, parlare, comunicare. Non per giustificare, ma per informare. Per creare un clima di fiducia. Per non trattare il cliente da stupidotto, perché sì, nell'epoca di internet, c'è sempre più gente che la sera smanetta sulla tastiera. E magari può scopriore segreti inconfessabili per chissà quale via. Meglio giocare d'anticipo. La trasparenza oggi può essere una buona pratica di marketing.

10 commenti:

  1. Condivido appieno quanto afferma il Sig. Matt Kramer (non ho letto il suo editoriale ma semplicemente la sintesi di Angelo). I tempi sono maturi per fare un'ulteriore passo avanti verso la completa trasparenza, qualcosa di simile a quanto avvenuto nel periodo post scandalo metanolo, oltretutto quale miglior momento di questo dove la crisi globale impone a tutti di scervellarsi per trovare ed attuare nuove strategie di marketing.

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  2. I tempi probabilmente non sono maturi, ma stanno maturando. Il problema è che poi si rischia di avere le forzature: certuni ritengono che la trasparenza sia mettere gli ingredienti e i dati nutrizionali in etichetta, paragonando così il vino a qualunque prodotto dell'industria alimentare. Il che sarebbe triste.

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  3. la tracciabilità dei prodotti è cosa buona e giusta e già qui non tutte le merci l'hanno.
    per il prodotto vino già molti svolgono questo compito, la tracciabilità delle uve dal vigneto alla cantina e lo svolgimento per quel tipo di vino di quale tipo di processo ha compiuto è un ulteriore passo in avanti verso la trasparenza e l'acquisizione della fiducia e oltre.
    una mia ipotesi è che quest'azione metterebbe in crisi più certe grandi cantine affermate che piccoli e medi produttori.
    comunque avanti tutta, chi già opera in tranquillità non ha timore anzi.
    sono i mascalzoni che devono temere e mettersi paura.

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  4. Le dinamiche del mercato porteranno il consumatore ad indirizzarsi sempre di più verso l'acquisto consapevole. Quindi ad essere premiati saranno coloro che riusciranno ad agevolargli il compito.

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  5. Ma credete davvero che la gente, comune, voglia questo? non è che finiamo sempre con il discutere tra noi addetti e superappassionati di queste cose? l'ho detto un anno fa a Terroir Vino in occasione della Unplugged Unconference suscitando un vespaio. Credo che la comunicazione del vino sia andata troppo oltre perdendo di vista le cose più naturali, passatemi il termine, e i modi più semplici per dirle. io personalmente scriverò sulle prossime schede dei nostri spumanti il contenuto di solfiti, senza problema, ma onestamente nessun cliente mi ha mai chiesto questo. Me lo ha chiesto Filippo Ronco per il Tajad e glielo ho scritto, se vuoi chiedermelo tu Angelo risponderò anche a te. vorrei che fosse un cliente "normale" a chiedermelo. su questo dobbiamo lavorare, tornare indietro per andare avanti. Li abbiamo persi per strada i consumatori, credetemi, siamo stati troppo complicati nel nostro modo di presentarci. La gente ci vede ancora come delle star, perché magari finiamo in tv per sbaglio, e come delle persone irraggiungibili. Abbiamo spettacolarizzato troppo questo mondo che invece è semplicissimo, immediato. ogni settimana accompagno i clienti dell'agriturismo in mezzo ai vigneti, li porto in cantina, non ho mai raccontato la favola, hanno sempre visto tutto, forse non sarà una cantina super firmata o super votata da guide e giornalisti ma questa è la nostra vita. un gruppo di ragazzi, non giovanissimi, che stamattina erano da me per un soggiorno enologico da loro scelto, non sapeva neppure come mai uno spumante ha le bollicine, non sapevano nulla della differenza tra fermentazione in bottiglia e fermentazione in autoclave, e io questo ho spiegato loro. di questi episodi ne ho in abbondanza ogni settimana. voglio dire che ho capito che il mio compito stamattina era quello di appassionarli al vino e alle bollicine, di stuzzicare la loro curiosità, di dar loro gli strumenti per poter scegliere un vino da soli e di scegliere bene. magari torneranno e allora potrò raccontare qualcosa di più o loro mi chiederanno qualcosa di più e io glielo dirò perché questo è il mio lavoro. più che di trasparenza parlerei di bisogno di semplicità. ritornare indietro per andare avanti ancora. produttori, giornalisti, addetti ai lavori sono già andati avanti ma lasciando indietro il consumatore, chi per opportunismo, chi perché troppo preso dal successo, chi perchè abituato a frequentare solo guru di questo meraviglioso mondo. ma là fuori c'è un altro mondo di gente che beve spesso senza sapere cosa beve ma cosa peggiore senza chiedersi cosa sta bevendo.

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  6. @Cinzia. Forse il post non è stato così chiaro. O forse è stato chiaro, ma ognuno lo legge secondo le sue logiche.
    Non ho mai parlato - rileggilo - di "dire la verità" in etichetta. Quale sia la percentuale di solfiti non mi interessa proprio per niente, e mai te lo chiederò: sono affari tuoi. A me interessa il prodotto finito.
    Non voglio i dati nutrizionali, né gli ingredienti. Sono fermamente contrario a qualunque dicitura del genere in etichetta. E non me ne importa nulla di quei dati.
    Chiedo invece - e faccio mie le considerazioni di Kramer - che nella propria comunicazione le aziende "dicano la verità". Magari anche solo sul loro sito internet, che, lo ammetterai, viene visitato da chi usa internet e dunque ha un utilizzo abbastanza evoluto degli strumenti di comunicazione. Non credo sia così impossibile dichiarare sul proprio sito internet cosa si fa davvero in cantina, senza con questo scrivere dati analitici che a me e a quasi tutta la gente che beve vino non interessano per niente. Sono altre le cose che vorrei sapere. Mi basterebbe sapere - faccio un esempio - se dentro la tal bottiglia c'è solo ed esclusivamente roba del produttore, proveniente dalle sue uve, oppure se si è tagliato anche del vino acquistato da altri, il che non è né un reato né una colpa. E in caso di acquisto, vorrei sapere come vengono selezionati i conferenti e dove sono. Ci sta che in una certa annata non ci sia uva abbastanza e si facciano acquisti fuori azienda: ecco, credo sarebbe importante dirlo, semplicemente. Perché se ho stima della tua capacità produttiva, della tua "marca", avrò la tua reputazione ancora più rafforzata. Altrimenti, se un giorno scoprirò che mi vendevi il vino per tuo e invece lo compravi altrove e non me l'hai detto, be', qualche dubbio potrebbe venirmi. Ed è solo un esempio.
    Non è chedere la luna nel pozzo, ammettilo, e non è un dramma dirlo. Ma sarebbe un passo in avanti notevolissimo. Invece per ora la stragrande maggioranza dei depliant e dei siti aziendali (per non parlare dei comunicati stampa) propina solo pseudo-poesia. A volte ridicola.

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  7. Fernando Campagnola29 marzo 2010 alle ore 15:30

    Io credo che nel mondo del vino ci sia bisogno sia di umiltà come sottolinea Cinzia che di grande trasparenza come dice Angelo
    Umiltà perchè noi produttori dovremmo essere umili e pazienti nel spiegare cosa c'è dietro a una nostra bottiglia, e trasparanti perchè le cose che diciamo devono essere vere e non dettate dal particolare momento.
    Molte volte questo non accade e a farne le spese sono sia i consumatori che i produttori "onesti"
    Ad esempio a volte mi accade di vedere facce un pò perplesse quando spiego che il vino prodotto dall'uva Corvina non ha una colorazione intensa, e più un rosso rubino brillante che nero di seppia, daltronde in commercio ci sono vini provenienti da corvina in purezza color inchiostro.

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  8. Fernando, parole sante! Proprio stamattina spiegavo la stessa cosa ad un oste a proposito della corvina: faceva fatica a credermi. Corvina, nebbiolo, pinot noir: quando mai potranno essere colorati "da soli"?

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  9. Cinzia, Cinzia!
    Dovresti essere d’accordo con Angelo, altro che nascondersi dietro la gente comune.

    Valorizzare il tuo lavoro, la tua coerenza, attraverso la trasparenza.
    Non devi aspettare che qualcuno ti chieda qualcosa, devi essere tu per prima a dire cosa fai con cosa lo fai, e cosa non fai.
    Ti ho già detto tempo fa, il futuro del Vignaiolo e l’autocertificazione..

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  10. buongiorno, io credo che prima di tutto ci debba essere la lealtà: lealtà verso chi comprerà il mio prodotto e lealtà verso me stesso/a che lo faccio.
    Non credo che il problema siano i solfiti (benché sia risaputi che facciano male al nostro organismo, intossicandolo), ma tutto quello che viene comunemente chiamato “pratiche di cantina o vigneto”.
    Ecco spiegato il perché un Corvina o un Pinot nero non saranno mai inchiostro se in vendemmia non si aggiungono tannini che fissano il colore ed enzimi che lo estraggono.
    Che male c’è a dire che si usano queste “aggiunte”? che probabilmente per quancuno che ne capisce, saranno pratiche “normali”, per il cliente che vuole la genuinità del vino saranno pratiche “chimiche” e il prodotto vino che si fa così probabilmente non lo prenderà più.
    Da vignaiola prima e produttrice dopo, ed enologo alla fine, credo che solo lavorando bene in vigneto si possa dare il meglio in bottiglia. E nelle annate che non sono ottimali? Se serve l’aggiunta di qualcosa è bene dirlo. Non fare gli struzzi.
    E non è vero, come scrive Cinzia che la gente comune non chiede, chiede eccome! Siamo noi che probabilmente deviamo le loro domande verso le risposte che ci aggradano di più.
    Personalmente cerco di dire come facciamo le cose nel modo più semplice e naturale possibile, ho deciso anche di scrivere un blog dove racconto quello che accade a casa mia.
    Ci vuole parecchia umiltà insomma.
    carolina.

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