8 marzo 2010

Il futuro del vino? Nelle mani dei produttori

Angelo Peretti
Nei giorni scorsi sono entrato più volte in tema ocm vino. Traduco: ho scritto di quelle che sono le mie personali impressioni sulle novità - a mio sentire potenzialmente radicali - che la nuova legge quadro comunitaria sul vino - l'organizzazione comune di mercato - potrà apportare allo scenario produttivo vitivinicolo italiano, a cominciare da una possibile-probabile avanzata dei vini da tavola, fino alle criticità che potrebbero incontrare le doc che si basano sui cosiddetti vitigni internazionali.
Ora eccomi a fare un'affermazione che qualcheduno potrebbe giudicare anche ovvia, scontata, lapalissiana, ma che temo così non sia.
L'affermazione è questa: il futuro delle doc è nelle mani di produttori.
Mi si obietterà: e nelle mani di chi vuoi che fosse prima dell'ocm vino? Rispondo subito: nelle mani dei commercianti in primis e dei produttori poi, che non è la stessa cosa.
Il produttore è quello che fa prima di tutto uva, e poi che magari ci fa anche il vino, trasformando le uve dei propri vigneti o quelle dei conferitori (è il caso delle cantine sociali).
Il commerciante, l'industriale, è quello che compra vino già fatto e lo fa imbottigliare con la propria etichetta, oppure addirittura lo imbottiglia sotto la private label di qualche catena di supermercati.
I secondi, i commercianti, finché c'era la vecchia regolamentazione che in qualche maniera favoriva i vini doc - per la semplice ragione che sui vini da tavola non si potevano indicare i vitigni e soprattutto l'annata - le doc, magari a malincuore, le sostenevano, facendone appunto commercializzazione. Ora, con le nuove regole, chi glielo fa fare? Possono tranquillamente mettere l'annata sull'etichetta di un vino da tavola, e se questo è fatto con uva internazionali, possono anche indicare il vitigno. Che vuoi di più dalla vita quando la concorrenza la giochi tutta sui prezzi marginali?
Con un'eccezione: i commercianti vendono quel che si vende da sé, e dunque se una doc è "richiesta" dal mercato perché ha appeal, perché è attrattiva, allora continueranno a soddisfare la domanda, comprando e intermediando cisterne di vini doc. Se invece la doc non è di per sé attrattiva, e per venderla occorre investirci in comunicazione, pubblicità, marketing, allora taglieranno i costi, e l'abbandoneranno, scegliendo strade più convenienti.
Dunque, occorre che chi produce uve e vini doc - e dunque i vignaioli, i piccoli e medi produttori e le cantine sociali - facciano finalmente squadra e investano - come ho detto - in comunicazione, pubblicità, maketing. Altrimenti rischieranno che il vino gli resti in casa. E prima o poi saranno costretti a cambiar mestiere ed estirpar le vigne. Tanto il commerciante un cabernet o uno chardonnay a basso costo lo potrà trovare dove vuole.
Mi si dirà: ovvio. Nossignori, così ovvio non è, perché è faccenda che presuppone un salto culturale radicale da parte della cosiddetta filiera vitivinicola. E anche - se non soprattutto - da parte del mondo deu consorzi di tutela, che pure rischiano, se non si adattano rapidamente al cambiamento, di far la fine dei dinosauri: estinti. Ma cambiar la mentalità di una conunità, di una società, non è così facile. No, non lo è proprio. Eppure bisogna.
Photo: www.freefoto.com

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