Angelo Peretti
Ecco, quando bevo vini così, un po' ne gioisco, e un po' mi c'incavolo. Ne gioisco, perché è un gran bel bere. M'incavolo, pensando a quanto sia difficile trovare vini altrettanto longevi dalle nostre parti e anche a come le mode filo-parkeriane abbiano alterato gli stili, favorendo la concentrazione alla beva, la struttura alla finezza.
Bottiglia di Pauillac, annata 1988, confine fra la tradizione e lo stile simil-californiano. Produttore uno semisconosciuto per i più - ma in realtà referenziato - Château Colombier-Monpelou. "Affidabile con buoni standard" lo definisce il vate Hugh Johnson. In origine, leggo sull'utilissimo volumetto che David Peppercorn ha dedicato qualche anno fa ai vini di Bordeaux, era la vigna migliore della locale cooperativa. Poi venne comprata, nel 1970, da Bernard Jugla, proprietario di Château Pédesclaux. "Un buon, onesto, robusto Pauillac, che ha una certa eleganza e un frutto succoso e piacevole", annota Peppercorn.
Be' non mi verrebbe descrizione migliore in ordine al frutto. Con tutto quel mirtillo che ti ritrovi al palato, frammisto peraltro a delle belle vene terrose.
Che ci sia una qualche prevalenza di cabernet sauvignon te n'accorgi fin da subito. E resti piacevolmente colpito dalla giovinezza, dalla freschezza dei sentori varietali, dopo venti e più anni.
Ecco, dove li troviamo, qui da noi, vini che dopo vent'anni siano ancora dei giovinetti? Non dico "vini che abbiano resistito", ma dico invece che appaiano giovanissimi, come questo in effetti.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Incomici a viziarti troppo :-)
RispondiEliminabye Angelo