4 maggio 2010

Territorialità, il valore vincente

Angelo Peretti
Tra le tante "cose" accadute all'ultimo Vinitaly, c'è stata anche, in sala stampa, la presentazione degli esiti d'una ricerca che la fiera veronese ha affidato a Bocconi Trovato & Partners sul "Valore del marchio nel mondo del vino".
Ho ripreso in mano le slide di sintesi presentate in conferenza stampa. In particolare, me ne ha colpito una. Quella che espone quali siano, secondo i ristoratori e gli operatori del settore intervistati, i criteri di scelta ai quali i loro clienti sono più attenti quando scelgono un vino.
Gli operatori che hanno risposto sono stati 215: né pochi, né tanti. I pezzi di carta che ho in mano informano che tra i 215 ci sono 150 "guide restaurant" (è scritto così), ossia locali di livello medio-alto ed alto che sono recensiti dalle principali guide di settore e rappresentano quella che vien definita la "fascia centrale" dell'offerta della ristorazione. Poi, 5 distributori e 60 enoteche e wine bar. Non si dice a quali aree geografiche appartengano, e non è un'informazione irrilevante, almeno a mio avviso.
Bene, che cosa emerge da quella slide?
Emerge che il primo tra i fattori di scelta è il prezzo: vale il 56,5%. Subito dopo, la territorialità, a quota 54,3%. Segue l'abbinamento col cibo: 47,8%.
Staccati, molto staccati, altri criteri di scelta: il livello di conoscenza del marchio è al 21,7%, la particolarità del vino al 19,6%. Vale, ma non enormemente, il consiglio del ristoratore: 17,4%. Anche la qualità non è una variabile di scelta assolutamente fondamentale: 15,2%, e credo che questo sia dovuto comunque ad una qualità media ormai molto diffusa, al punto che la si reputa tutt'al più come un pre-requisito. La disponibilità al bicchiere o in mezza bottiglia conta appena per l'8,7%. La bassa gradazione è a quota 4,3%.
Ora, assunto che evidentemente la domanda prevedeva risposte multiple (il totale delle percentuali è ben oltre 100), credo che la considerazione da trarre è che o quei ristoratori ed enotecari non capiscono molto dei loro clienti, oppure molti luoghi comuni sulle attuali dinamiche di scelta del vino sono assolutamente da smontare. Quella della bassa gradazione, per esempio. C'è chi si ostina a dire - senza portare prove statistiche - che nell'epoca della patente a punti i vini meno alcolici sarrebbero favoriti. Dalla ricerca, sembrerebbe vero solo in minima misura. Inutile tu faccia un vino low alcohol se quello non ti sa trasmettere i valori della territorialità e dell'abbinabilità. L'identità credo valga molto, molto di più. Al giusto rapporto di prezzo.

1 commento:

  1. Concordo in pieno con te. L'attenzione al grado alcolico è cresciuta nel consumatore attento, ma molto meno rispetto alla aumento della fobia trasmessa da "pseudoesperti". Qualche statistica in più e seria potrebbe chiarire una questione spinosa.
    Dal mio punto di vista chi vuol ridurre l'assunzione d'alcol non ricorre a vini meno alcolici ma a un minor consumo di vino, non quindi allo stesso numero di bicchieri di prima ma meno "forti", piuttosto a un minor numero di bicchieri (anche se speriamo più buoni), almeno per il consumo fuori casa.
    Riprendendo la slide di cui parli vi è anche un aspetto curioso, quello che vede un'alta % del fattore di scelta" abbinamento col cibo" (47,8%) e contemporaneamente una bassa % per il "consiglio del ristoratore"(17,4%), come ci fosse una così diffusa cultura del vino da consentire una scelta autonoma dei vini da abbinare. Non mi stupisce la prima %, ma la seconda! Io il consiglio del ristoratore lo ascolto sempre, peccato che siano veramente in pochi a darlo...
    Un caro saluto

    Alberto Ugolini
    Santa Margherita

    RispondiElimina