Angelo Peretti
Oh, non se ne può più di chi vuol farci "emozionare" a tutti i costi. Paolo Ghezzi, giornalista del quotidiano L'Adige ed ottimo conduttore del "live-blog" su vino e comunicazione cui ho partecipato qualche giorno fa a San Michele all'Adige ha ricordato che in un recente meeting dedicato al turismo trentino, tutti gl'intervenuti avevano un'unica parola d'ordine: per prendere villeggianti, occorre emozionarli. Ed ha scherzosamente osservato che quando perfino la guida alpina ha detto che l'obiettivo è quello di emozionare, un attimo un brivido gli è venuto, perché semmai la mission in quel caso è dar sicurezza, altro che emozione.
Ora, ai fan della comunicazione emozionale vorrei far leggere alcune parole che Oscar Farinetti - il signore ritratto nella fotina qui sopra, uno che di business se n'intende, visto che le sue imprese, e soprattutto Eataly, son di successo - ha detto a Marisa Fumagalli per un servizio uscito sul numero scorso di Sette, il magazine del Corriere della Sera.
Osserva dunque Farinetti: "Ha notato che la pubblicità dei prodotti alimentari della grande industria si è inserita nel trend dei consumatori consapevoli? Prendiamo la Ferrero, colosso del settore dolciario. Antenne dritte, negli spot, punta sulla materia prima e la provenienza. Un esempio? Il latte delle valli piemontesi, i limoni di Sicilia, pe una sua specialità da frigorifero. Insomma, meno emozione, più contenuti. È una linea che si sta diffondendo".
Ecco, ma visto che certi soloni del marketing da quartiere seguitano a insistere dicendo che un vino deve emozionare, che un piatto deve emozionare, che un ristorante deve emozionare, magari è il caso di ripeterlo: più contenuti. Le emozioni semmai vengono da sole, se ci son contenuti di livello.
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