10 novembre 2010

Saranno anche velleitari, ma a Bordeaux ci provano a uscire dalla crisi

Angelo Peretti
Ragazzi, se è dura: c'è un sacco - ma proprio un sacco - di vino invenduto nelle cantine di tutt'il mondo, e i prezzi vanno giù a picco. Si salvano in pochi. E quel che è più grave è che si vedono pochissimi progetti - pochissime idee - su come venirne fuori.
I francesi del Bordeaux ci stanno provando. Perché mica gli vanno bene le cose neanche a loro. Vero che i listini dei cru più importanti sono schizzati alle stelle con l'annata 2009, salita a prezzi mai visti prima, sull'onda dell'ossessivo interesse dei neo-ricchi cinesi per gli status symbol. Ma è un'euforia che arricchisce solo poche decine di marchi bordolesi affermati. Per il resto, soprattutto per il Bordeaux generico, ma anche per gli chateau poco noti, son grattacapi mica da ridere. Al punto che in Francia c'è chi teme che l'industria del vino bordolese, che dà lavoro a più di 50mila persone, possa andare in crisi.
Però - ho detto - là ci si prova, a venirne fuori. E il Conseil Interprofessionnel du Vin de Bordeaux (Civb) ha lanciato un'ambiziosa strategia che ha chiamato con un titolo quasi cinematografico: "Bordeaux Domani. La Riconquista". Ne leggo sul numero di ottobre di Wine Spectator, in un articolo di Suzanne Mustacich.
I bordolesi si son dati l'obiettivo di aumentare i ricavi del 28 per cento entro il 2018: non a caso ho scritto che sono ambiziosi (d'altra parte, 'sti francesi...). Per arrivarci, hanno studiato una campagna di marketing che dovrebbe far leva sull'offerta di vini dal forte rapporto qualità-prezzo. Buona qualità e prezzo contenuto: la quadratura del cerchio.
Hanno pensato a una serie di etichette - o più probabilmente di marchietti, di slogan, di qualcosa di simile - molto consumer-friendly, dividendo la produzione in quattro categorie: i vini dell'Arte, quelli dell'Esplorazione, quelli Divertenti e quelli Base, in ordine decrescente di prezzo (più altini quelli dell'Arte, ovviamente più bassi quelli Base). L'obiettivo è d'aumentare gradualmente il peso delle prime tre categorie, dai prezzi progressivamente crescenti, riducendo invece la produzione dei Base, che viaggiano su una media intorno ai 2 euro appena sullo scaffale.
Per fare meno vino Base ci sono tre soluzioni: la prima è migliorare la qualità, per chi è in grado d'arrivarci, la seconda è spostare la produzione su altri tipi di vino, la terza è cavare le vigne. Direte: facile a dirsi, ma mica a farsi. Vero. E vediamo dunque come pensano di uscirne.
Il progetto - dicevo - pare che ipotizzi tre modalità d'intervento per arrivarci.
La prima è destinata a chi ha le potenzialità per fare meglio: per loro si dovrebbe mettere in campo una squadra di consulenti, di esperti, che li assista e li aiuti almeno a passare dalla categoria Base a quella Divertente (che dovrebbe spuntare un prezzo medio sullo scaffale grosso modo fra i 2 euro e mezzo e i 7 e mezzo).
Poi, si pensa di spostare una parte della produzione verso i rosé, o almeno verso vini rossi "varietali", ma fuori dall'appellation del Bordeaux (insomma: vini da tavola a base di cabrnet sauvignon o di merlot).
Per chi proprio non ce la può fare a produrre meglio (o non vuol farcela, pur potendo), si pensa all'estirpazione, e il sistema di convincimento potrebbe essere - come dire - indiretto: un piano di controlli piuttosto serrato e per nulla permissivo.
Ce la faranno? E chi lo sa? "Ci sono in giro un sacco di scettici su questa faccenda" commenta Suzanne Mustacich chiudendo il suo pezzo. E temo di dovermi unire alla platea degli scettici. Però a Bordeaux almeno ci si provano a mettere insieme un progetto, e su questo hanno il mio plauso, che non credo li consolerà granché, ma che comunque - per quel che conto - gli tributo. Magari il loro piano sarà anche velleitario, ma altrove si sta lì ad aspettare Godot, che generalmente non passa, nossignori.

2 commenti:

  1. Noi a Gambellara ci stiamo provando, con una serie di incontri fra produttori nei quali si parla dei problemi e si discutono le strategie per risolverli. Peccato che anche se invitiamo tutti i produttori, grandi e piccoli, ci ritroviamo in pochi e man mano che andiamo avanti siamo sempre meno.

    Forse stiamo ancora troppo bene.

    RispondiElimina
  2. No, Stefano, il problema credo che sia che senza un progetto ben pianificato tutto resta nell'alveo dello spontaneismo: la gente partecipa, non vede risultati o soluzioni operative, si disamora e lascia perdere. Se ci credete e avete davvero voglia di mettere in gioco tempo, passione e quattrini, andate avanti anche in due o tre. Altrimenti fermatevi e mettete assieme una progettualità che sia in grado di reggere - dimostrandolo - almeno nell'arco temporale di due-tre anni.

    RispondiElimina