Mario Plazio
Negli anni Angiolino Maule ha ricercato con rara caparbia l’espressione più pura della garganega. In questo percorso ha cambiato molte volte strada, ma sempre con l’obbiettivo di trasferire nel vino tutto quello che l’uva e il territorio possono dare.
Il Pico è la summa di questo lavoro, un laboratorio nel quale trasferire le proprie esperienze e cercarne di nuove.
Ho aperto quindi con curiosità l’annata 1999, nella quale il vino era protetto da una dose (minima) di So2, mentre le versioni più recenti sono completamente senza solforosa.
È un vino che rivela tutta la sua grandezza al palato, puntuale, rilassato e carezzevole. Rispetto ai suoi colleghi friulano/sloveni (vedi per non fare nomi Radikon e compagnia bella), il Pico rimane più fine, scevro da concentrazioni inutili, meno macerato e più bevibile.
Il naso è più complicato, ha bisogno di tempo per far uscire una bella pietra focaia, umori di humus, sottobosco e torrente di montagna (chi la frequenta forse mi capirà).
Il frutto esplode in bocca dopo molti secondi, e rimane molto vicino ai sapori dell’uva.
Una bottiglia sicuramente autunnale, provatela non troppo fredda ad esempio su un piatto a base di funghi, stappandola prima e caraffandola al momento del servizio.
Tre faccini :-) :-) :-)
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