Mario Plazio
Lo so, sono esterofilo. Mi piacciono i vini stranieri (Francia e Germania in primis), la musica straniera e potrei andare ancora avanti. Spesso mi chiedono cosa hanno di più i vini francesi dei nostri (sottinteso nella domanda è il convincimento che i prodotti nostrani non abbiano nulla da invidiare agli invasori, i quali hanno il solo merito di sapersi vendere bene). Qualcuno si starà chiedendo cosa abbia a che vedere tutto questo con il tai rosso del titolo. Ci arrivo tra un attimo.
La questione è che ad esempio in Francia le denominazioni hanno un senso preciso, una storia ultrasecolare che nessuno si sognerebbe di rimettere in discussione. Nemmeno per un istante il più iconoclasta dei produttori penserebbe di piantare syrah a Bordeaux o riesling in Borgogna. Da quelle parti si è deciso mille anni fa che andava piantata quell'uva. Punto.
Da noi stiamo ancora discutendo di questa e quell'uva, aggiungendo un 10% di qua, un 5% di là e così via. E magari imbrogliando, ché tanto il consumatore non merita rispetto.
I grandi vini e i grandi territori nascono da idee precise e condivise, e difficilmente da pasticci burocratici.
Tutto questo cappello per parlare di un progetto coraggioso ed ambizioso presentato nei giorni scorsi dalla azienda Le Pignole a Brendola. Dalla consapevolezza che l’identità dei Colli Berici è oggi quanto mai “sfuocata” per usare un eufemismo, nasce il progetto di puntare tutte le proprie carte su un vitigno, il tai rosso (o tocai per i nostalgici) che si vuole identificare come il più adatto alla zona di produzione, e che pare fosse qui presente già dal 1300.
Oggi il Tai soffre di una immagine non proprio brillante. La tradizione (ma quale tradizione?) lo vuole scarico, acido (o piuttosto crudo), tecnico e impersonale, e lo abbina al baccalà alla vicentina. Il progetto Banca del tai rosso parte dalla constatazione che con lo stesso vitigno vengono ottenute etichette di assoluto prestigio in Francia, Spagna e nella nostra Sardegna. Trattasi infatti dell’uva grenache o cannonau. Certo i terroir sono diversi e difficilmente i vini sono replicabili. Si è partiti dal recupero di tre vecchi cloni di alta qualità, ai quali sono state aggiunte tre selezioni dall’Istituto per la viticoltura di Conegliano. Lo scopo è di diversificare il patrimonio ampelografico e di salvaguardarlo per la riproduzione, e successivamente di identificare le piante più adatte ad ottenere un grande vino di territorio.
Le sei selezioni sono state innestate nella primavera del 2008. Purtroppo le tre provenienti da Conegliano non hanno attecchito, e quindi è stato possibile solamente vinificare quelle di provenienza locale nella vendemmia 2009. Questi di seguito sono gli esiti della degustazione.
Clone Brendola – provenienza azienda Le Pignole. Vinoso, spezie e piccoli frutti, poi tabacco e nota vegetale. Bocca gradevole, forse un po’ semplice, rotondo e ancora vegetale, con tannini che dominano la prima parte. Sensazione di alcolicità che prevale sul frutto nel finale, che per questo non è il più elegante. A mio avviso il meno interessante.
Clone Barbarano – provenienza azienda Padrin. Naso più variegato ed intrigante. Inizialmente note di carne, erbe e minerale. Palato elegante e slanciato, perde in potenza per guadagnare in finezza. Floreale e ciliegia, tannicità spontanea e minore impatto alcolico. Intrigante e di maggiore potenzialità.
Clone Toara – provenienza azienda Piovene Porto Godi. Colore meno intenso dei tre. Al naso spezia, incenso, frutto e col tempo fiori e ferro. Evolve positivamente nel bicchiere. Bocca austera, forse il finale è meno continuo del precedente, ma senbra avere forza per migliorare nel tempo. Bei tannini. Contende la palma al campione numero 2.
È poi seguita una degustazione verticale di tutte le annate di Torengo, il Tai Rosso di punta della casa. Ricordiamo che è un Igt.
2008. Naso da caramella e gomma americana, inizialmente lascia alquanto perplessi. Col tempo fortunatamente si ripulisce anche se rimane la percezione del legno. Abbastanza fresco e gradevole.
Un faccino e mezzo :-)
2007. La migliore versione a mio avviso. Chiuso e minerale ha bisogno di tempo per concedersi. In bocca preme di meno e quindi è più libero di esprimersi. Bella eleganza è anche floreale ed armonico.
Due faccini + :-) :-)
2006. Inizialmente è pervaso da un legno troppo insistente, che con i minuti se ne va, anche se non completamente. Diviso tra toni caldi di spezie e cacao, e sentori più vivaci di agrumi e menta. E mi sembra che non riesca a chiarire da che parte sta, anche se rimane di piacevole beva.
Due faccini - :-) :-)
2005. Decisamente viscerale. Tartufo e formaggio di fossa, accanto a strane note di miele, forse da legno. In bocca è meno di impatto da come lo aspetti, finisce sul cacao, la resina e il legno. La materia manca di consistenza e di concentrazione.
Un faccino + :-)
2004. Prima annata prodotta. Molto evoluto, caffè e legno in evidenza. Bocca in linea e piuttosto fluida. È monodimensionale e manca di eleganza.
mezzo faccino
Tornando al discorso iniziale, devo da un lato lodare la pregevole iniziativa e la grande forza di volontà della famiglia Padrin, che ha iniziato un percorso difficile e di lunga prospettiva. Dall’altro, anche alla luce dei campioni assaggiati, mi chiedo se c’è una identità per il tai rosso nei Colli Berici. I tre cloni presentati infatti hanno caratteristiche talmente diverse che ho difficoltà a capire se da questo si può ricavare un identikit preciso per un vino che si vuole di territorio. E a questo punto mi ricollego a quanto affermato più sopra: è possibile ricreare quel legame indissolubile tra il terreno, il vitigno e l’uomo che è il solo garante di grandezza dei vini dei migliori terroir del mondo? Non ne sono certo, o almeno ad oggi non è chiaro se lo possa essere per il tai rosso e i Colli Berici. E non è chiara l'identità che dovrebbe avere in futuro il vino, diviso tra versioni più potenti, ma forse più omologate, e interpretazioni più fini ed a mio avviso più interessanti ed originali. È chiaro da che parte sto io. Nel frattempo attendo le sei micro vinificazioni del millesimo 2010 per procedere verso ulteriori riflessioni. E ringrazio il coraggio dell’azienda Le Pignole che ha intrapreso in solitario un cammino in salita, ma inevitabile. Sperando che altri ne seguano l’esempio.
una semplice precisazione: il Torengo è d.o.c.dall'annata 2006 per una precisa scelta della nostra azienda.
RispondiEliminaCi dispiace dare l'impressione di non avere le idee chiare il nostro progetto è quello di fare bene quello che secoli di storia di questo vitigno sui colli berici ci hanno dato sino ad oggi e di certo ,sin dall'inizio, lo abbiamo voluto fare in purezza 100% tai rosso lasciando alla politica l'imbarazzo delle scelte sbagliate non conosciamo strade in discesa quando affrontiamo quotidianamente il nostro lavoro fatto di continua volontà nel migliorare la nostra produzione non tradendo mai....i nostri clienti