Angelo Peretti
Non sono un fan dei concorsi enologici.
Il fatto è, in primis, che li ritengo strumenti concettualmente obsoleti. Secondo me, appartengono come forma di promozione ai tempi in cui i vini tecnicamente corretti non erano così tanti come ora. Non è un caso che di norma a giudicare i vini nelle competizioni siano sempre stati soprattutto gli enologi: per valutare, appunto, la correttezza formale del vino, e non altro. Il che oggidì non ha moltissimo senso: le teniche di cantina han fatto passi da gigante.
Eppoi i concorsi sono anche eccessivi, stucchevolmente ridondanti, e quindi comunque poco significativi, perché ce ne sono davvero troppi, in Italia: decine e decine e decine di gare e garette e garucce organizzate da enti, istituzioni, consorzi, associazioni, pro loco, sodalizi, circoli e chi più ne ha più ne metta. Ne basterebbero molti, molti di meno, e allora forse avrebbero un certo valore per il mondo produttivo da un lato e per i consumatori dall'altro.
C'è poi un altro aspetto che a mio avviso non va: se ne premiano decisamente troppi, di vini, nella gran parte dei concorsi d'oggi, ed è logico che succeda questo, perché i campioni in lizza vengono valutati assegnando voti centesimali in base al metodo d'analisi sensoriale dell'Union internationale des oenologues, e questa metodologia valorizza, appunto, più i requisiti formali che gli aspetti di piacevolezza, e dunque sono comprensibilmente molti i vini che superano soglie di giudizio minimo fissate poco oltre quota 80 centesimi, e dunque son todos caballeros (oh, che frase lunga che ho scritto!).
Ora, non so se il nuovo decreto "recante la disciplina dei concorsi enologici" - firmato il 16 dicembre dal ministro Galan - servirà a contenere la proliferazione delle disfide vinicole: non ci spero del tutto, ma me lo auguro proprio. E la speranza sta nel fatto che il decreto dice che d'ora in poi chiunque voglia attribuire un riconoscimento ad un vino - che si tratti di "medaglia, diploma, premio, trofeo, etichetta, menzione in etichetta, bollino, ecc." (sono le fattispecie indicate nel testo del decreto) - deve essere autorizzato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sentito il Comitato nazionale vini. Il che è già di per sé impresa di una certa consistenza.
Gli organizzatori - o meglio, secondo la dizione ufficiale, l'"organismo ufficialmente autorizzato" ad allestire il concorso - deve domandare "l'autorizzazione al Ministero, Dipartimento delle politiche competitive del mondo rurale e della qualità, almeno 4 mesi prima dell'inizio del concorso" e il nulla osta ministeriale viene rilasciato "nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della domanda". Insomma: ci vuole una certa pianificazione, il che, con gli empirismi e l'estemporaneità cui siamo abituati in Italia, non è scontato.
Non solo. Una volta che abbia ottenuto l'autorizzazione, l'ente organizzatore deve "due mesi prima dell'inizio delle selezioni", comunicare al Ministero: "l'avvenuta pubblicazione per estratto del regolamento del concorso su almeno due quotidiani o riviste specializzate nel settore enologico a larga diffusione, a livello nazionale od a livello regionale, in relazione all'ambito di svolgimento del concorso medesimo; la composizione del comitato organizzatore; il luogo e la data della manifestazione e delle operazioni di selezione; il nome del notaio, o di altro pubblico ufficiale incaricato alla anonimizzazione (...); il nome del responsabile della segreteria e della tenuta della documentazione contabile; il nome del presidente delle commissioni di degustazione responsabile della parte tecnica del concorso". Poi, "quindici giorni prima dell'inizio delle selezioni", deve anche "comunicare al Ministero l'elenco dei componenti le commissioni di degustazione, specificando nome, cognome, qualifica professionale e mansione ricoperta da ciascun componente".
Insomma: burocrazia di un certo peso e spese non irrilevanti spero che rallentino la proliferazione dei concorsi, e che magari ne spazzino via qualcuno. Spero troppo?
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