Angelo Peretti
Chi nelle ormai imminenti giornate del tempo natalizio avesse in animo di regalarsi una giornata di relax può prendere in considerazione una visita alla cittadina di Ferrara. Perché il centro è indubbiamente carino. Perché ci si può mangiar molto bene senza svenarsi (e magari una dritta ve la do). Perché vi sono alberghi ospitali ed a prezzi accettabili (altra dritta). E soprattutto perché c'è una mostra che merita d'esser vista. Per chi ama la pittura, certo, ma anche per chi è interessato alla storia della cultura alimentare. Per chi vuol sentirsi vivo, soprattutto.
La mostra è a Palazzo Diamanti, che già per il bugnato della sua facciata merita una sosta, per l'ammirazione che destano le luci e le ombre che giocano a nascondino, vestendosi dei toni del bianco e del grigio, da un lato riflettendo e dall'altro celando le luci fredde dell'inverno. È dedicata, l'esposizione, a Jean Siméon Chardin, "il pittore del silenzio". Uno dei geni della pittura francese del Settecento. Specializzato, nella prima e nell'ultima parte del suo percorso espressivo, in un genere che all'epoca non andava di certo per la maggiore, ma che seppe nobilitare come pochi: la natura morta, soprattutto d'oggetti di quotidianità cuciniera. O meglio, la natura morta, sì - e non a caso, facendo quasi un'eccezione, l’Accademia reale di pittura e scultura di Parigi lo accolse, nel 1728, come autore specializzato "nella raffigurazione di animali e frutta" -, ma anche la pittura "di caccia". Ed è curioso leggere che determinante, a quanto narrano le fonti, sembra essere stato per l’artista l’incontro con una lepre morta che Chardin voleva dipingere 'nel modo più veritiero possibile' e con uno stile nuovo, dimenticando, come affermava lo stesso pittore, 'quello che ho visto e anche le maniera in cui questi oggetti sono stati raffigurati da altri'".
Ora, so che non è riflessione sull'arte del dipingere, ma vedendo quelle lepri e quelle pernici così crudamente ritratte, appese a un chiodo con la testa all'ingiù, accanto agli strumenti del cacciatore, e così realisticamente pronte, ora, all'attività del cuciniere, m'è venuto da pensare come sia cambiato, nel tempo, il rapporto con la caccia e con la cucina di cacciagione. Chi oggi si azzarderebbe a dipingere simili soggetti? Quali strali gli pioverebbero addosso? Com'è diversa l'attuale sensibilità di molti. Ed altro non aggiungo, ché m'infilerei in un dibattito di quelli spinosi, e non è questo l'obiettivo. Oppure no, aggiungo che è un po' con un tuffo al cuore che quei quadri "di caccia" m'han fatto tornare alla mente, per un attimo, i fagiani che catturava mio padre. Scene domenicali della mia finazia ed adolescenza, nell'autunno inoltrato, nel primo inverno. E mi son sembrati tanto lontani quei tempi, e vuol dire che sono invecchiato, e vuol dire che ho vissuto stagioni che sono appena di là dell'angolo, eppure appaiono quasi sfocate, perdute nei recessi della memoria e, forse, del sentimento. Oh, che cosa può fare, che cosa può evocare un artista con la tela e il pennello.
Ecco, sì, ora capisco la frase di Chardin, ripresa su una parete, nel bell'allestimento della mostra ferrarese: "Ci si serve dei colori, ma si dipinge con il sentimento". Ché evocano, appunto, sentimento quelle scene domestiche, quei paioli quasi dimenticati sul tavolo, quelle due uova, quei cetrioli, quelle fragoline di bosco, quelle pere. Colpiti dalla luce, che le vivifica. Sì, è vero quel che scrivono gli organizzatori: con l'opera di Chardin "la pittura diviene poesia del quotidiano, un mezzo per esaltare con sensibilità i gesti delle persone comuni". E t'accorgi che dunque il quotidiano può donare poesia, e ti possono allora sembrare meno noiose e vuote le giornate.
Andate a vederla, questa mostra. C'è tempo, ancora: è aperta fino al 30 gennaio del 2011. È organizzata in collaborazione con il Museo del Prado di Madrid, che la ospiterà dopo Ferrara, ed è curata da Pierre Rosenberg, massimo esperto di Chardin, Accademico di Francia e presidente-direttore onorario del Musée du Louvre.
Dicevo che avrei dato un paio di dritte per stare a Ferrara. Per il desinare, il ristorante Cusina e Butega (parecchi tavoli, sempre pieni, luogo informale, servizio gentilissimo, una sfilza di prodotti regionali, grandi salumi, bei piatti - consiglio i cappelletti in brodo di tacchino - e bella scelta di vini, qualcheduno anche a bicchiere). Per il soggiorno, l'hotel Ferrara, proprio di fronte al castello.
Buongiorno Angelo, sono molto lieto che tu abbia scritto questo post, perchè confermi di aver colto uno degli obiettivi del Vinix Live! di Ferrara, che è stato quello di coniugare un evento enologico con un soggiorno turistico. Con il Consorzio "Il Gusto di Ferrara" siamo stati i primi a confezionare un pacchetto turistico in occasione di un Vinix Live!, perchè se è vero che il turismo enogastronomico sia il segmento che meglio regge alla crisi del settore, occorre comunque creare sinergie in merito... Nel nostro piccolo ci abbiamo provato, spero possa essere un suggerimento per tanti altri prossimi eventi...
RispondiEliminaA presto!
Mirco
Spero soprattutto che altre località sappiano allestire rassegne del fascino di questa dedicata a Chardin
RispondiEliminaBe', da questo punto di vista posso dire cono orgoglio che Ferrara Arte è stata sempre ai vertici per la qualità delle mostre organizzate... ;-)
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