Angelo Peretti
Sandro Boscaini è uno che il vino veronese lo sa rappresentare da star in giro per il mondo, con una capacità di stare sui media che non ha moltissimi paragoni in terra italica, fatti salvi il divo Angelo Gaia e pochi altri. Il suo brand è quello della Masi, azienda di famiglia. Capiamoci: quando parliamo della Masi, non stiamo mica dicendo di un'azienda piccina picciò, bensì di uno dei maggiori gruppi vinicoli italiani, con un fatturato tra i 50 e i 60 milioni, mica scherzi. E parliamo altresì di quell'azienda che aveva registrato - e, permettetelo, lanciato . il marchio Ripasso, ceduto poi, ma solo dopo una lunghissima e laboriosa querelle, alla Camera di commercio veronese. Insomma: gente che sa il fatto suo. Al punto che adesso che non hanno più il monopolio del Ripasso e che anzi il nome (e lo stile) è un po' abusato, si sono inventati un altro marchio, tutto loro, che è quello rappresentato da logo "'Appaxximento. Masi Expertise" (appaxximento con la doppia x), "con cui Masi Agricola - lo leggo in un comunicato stampa diffuso in occasione dell'ultimo Vinitaly - intende certificare la sua Expertise nell'Appassimento nel XXI secolo, ovvero la sua capacità di interpretare con modernità e originalità questa tecnica".
Ora, gli è che il Sandro Boscaini, vuoi un po' per passione autentica, vuoi magari anche per un pelino di spirito di marketing, ha all'attivo anche un altro primato: quello della riscoperta e del rilancio d'un vitigno valpolicellese ch'era stato obliato, ossia l'oseléta. Che adesso piantano in tanti, e che mettono ad appassire per ampliare l'articolazione aromatica dell'Amarone. Ma che assai probabilmente senza Sandro Boscaini e la Masi sarebbe ancora tra i ricordi d'un lontano passato contadino. Sia dato a Sandro quel ch'è di sandro, dunque.
Il figlio di Sandro, Raffaele, che coordina il gruppo tecnico della Masi (il team è quello nella foto: Raffaele è quello al centro, seduto, con la t-shirt bianca, mentre Sandro è in giacca scura, alle sue spalle), m'ha invitato in azienda qualche tempo fa proprio per far degli assaggi in tema d'oseléta. Nel nome d'un interrogativo: può davvero questo vitigno offrire qualcosa di più al panorama enologico valpolicellese? Ed è un interrogativo senza dubbio intrigante. Anche se è mica facile gestirla, in vigna e in cantina, 'st'oseléta. Che rende poco e non matura mai: devi aspettarla a lungo e a lungo, come m'ha ribadito Raffaele Boscaini. Ed ha, questo vitigno autoctono e antico, carattere grintoso, con quel tannino quasi ruvido e comunque nerboruto e quell'acidità sopra le righe e quella pepatura.
Per cercare di dargli almeno un'abbozzo di risposta all'interrogativo, abbiamo tastato assieme tre annate del Toar, un rosso veronese a indicazione geografica, che di fatto mette insieme i vitigni caratteristici della Valpolicella, ossia corvina e rondinella, con l'oseléta, appunto. E qui di seguito riporto le mie note d'assagio, non senza prima aver cercato di dare la mia risposta. E la mia risposta è che sì, l'oseléta può essere davvero interessante complemento alla corvina. L'una, la corvina appunto, ha il frutto rotondo (la ciliegia) e la spezia elegante (il chiodo di garofano, la cannella). L'altra, l'oseléta, ha appunto la freschezza e il tannino, ma anche un che di pepe che non guasta a dare una qualche grintosità al rosso. Ed a garantire, mi par proprio di capire, anche maggioor longevità, supportando la succosa beva della corvina. Dunque, se tanto mi dà tanto, oseléta sia.
Di seguito i tre vini provati.
Toar 1995
Quella del '95 è stata la prima annata nella quale l'oseléta è entrata nella composizione del Toar. Ce n'è entrato un 10-15% all'incirca, con la corvina all'80 e la rondinella poca poca. Appena versato il vino appare, al naso, evoluto, e ti vien da pensare che poco possa emergere da quella vena ossidativa. Poi però alla bocca subito ti colpiscono la freschezza e il tannino saldo, e capisci che va atteso nel bicchiere, e infatti eccolo aprirsi anche olfattivamente a mano a mano, mettendo in luce un bel fiore appassito, che s'amplia col passare dei minuti. In bocca c'è frutto maturo, e piccolo frutto sotto spirito, eppoi memoria terrosa.
Due lieti faccini :-) :-)
Toar 1999
Che strano naso che ha da subito: tra il metallico e il minerale, e dunque chiuso assai. Epperò di già sotto avverti che c'è il frutto rosso, che cerca di farsi largo, ed è frutto valpolicellista, con quella ciliegia che trovi tratteggiata. La bocca da subito è fresca d'acidità e nervosa e scattante. Il frutto, al palato, è morbido, e c'è grassezza, epperò anche beva. Ed ecco il pepe e la terra rossa, che rammenta quella del vino di quattr'anni prima. Vino di carattere, che certo non dimostra d'avere dieci anni e più, e che ha ancora parecchio da dire negli anni a venire, ritengo.
Due lieti faccini :-) :-)
Toar 2005
Il cambio di stile è avvenuto, per il Toar, con la vendemmia del 2000, quando l'oseléta è salita al 20% ed ha accompagnato la corvina senza più la rondinella. Questo 2005 è rosso giovanissimo. All'olfatto è fruttatissimo (la confettura di ciliegia emerge, netta): i tratti distintivi della corvina sono in rilievo, ed è sua anche quella leggerissima speziatura.che avverti sullo sfondo. La bocca è tesa. Il tannino è saldo, e deve ancora fondersi in toto col frutto. Eppure, ecco, la tannicità non prevarica il carattere fruttato. E c'è anzi di già un qualche equilibrio, che pare destinato a crescere col tempo. Ed ecco farsi avanti il pepe e un che di terra.
Due lieti faccini :-) :-)
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