Angelo Peretti
Ancora una volta Matt Kramer (è lui nella fotina qui accanto), editorialista di Wine Spectator, ha fatto centro. Sul numero di metà novembre della rivistona americana scrive "I Believe In Individual Tasters", ossia: "Credo Nei Singoli Degustatori". Si schiera insomma apertamente contro la dittatura del tasting panel, del gruppo d'assaggio, che alla fine favorisce la mediocrità. Evviva.
Scrive: "Permettetemi di metterla giù più secca che si può: mai credere a un tasting panel. Non importa 'chi' ne fa parte. Mai fatto parte di una commissione? Se quel che cercate è una mediocrità media d'assaggio, allora i tasting panel fanno per voi". Parole chiare, anche dure. Ma le condivido, in toto. Le commissioni d'assaggio in genere finiscono per premiare vini tecnicamente ben fatti, ma quasi sempre poveri nell'anima. Vini mediocri, insomma, seppur d'alta - tavolta altissima - tecnica. I vini di carattere, quelli più spigolosi, a volte anche rustici, vengono cassati nelle medie di un gruppo d'assaggio. Ed è un male.
Da qualche tempo a questa parte, nota Kramer, i direttori dei giornali che si occupano di vino sono diventati seguaci di quella "populistica opinione che se è un palato è buono, cinque sono meglio". Ma questo vale solo per il vino, chissà perché. "Non lo vedete succedere - afferma l'editorialista di Wine Spectator - per l'arte, la musica, i ristoranti o perfino i computer". E si dice convinto, ed io lo sono con lui, che non sia possibile sperare, settimana dopo settimana, mese dopo mese, di scoprire vini interessanti, di carattere, che valga la pena di presentare, servendosi di una commissione di palati.
Sono - ripeto - totalmente, assolutamente d'accordo. Vero: un solo assaggiatore darà un giudizio personale, soggettivo. Ebbene: evviva la soggettività. Perché su quella soggettività io, lettore, mi posso calibrare. E posso dunque capire se quel tal recensore ha i miei stessi gusti oppure no. Se ha i miei gusti, ne seguirò i consigli, convinto di trovare vini che possono piacere anche a me. Se ha gusti diversi, capirò almeno quali vini non faranno mai per me. Oppure calibrerò il mio giudizio - la mia scala di valori - sul suo. E spiego come mi regolo io da compratore. Amo i vini di Bordeaux, ma mi piace uno stile "all'antica", e dunque sì fruttatissimo, ma anche fresco e bevibile, e dunque lontano dalle concentrazioni che piacciono agli americani. Solo che i recensori più affidabili in termini di continuità d'assaggio dei rossi di Bordeaux son proprio gli americani (loro hanno gli editori che pagano trasferte e soggiorni, mica come in Italia). Seguendo con una certa assiduità i loro scritti, ho capito che i vini che ottengono punteggi dai 90 centesimi in su non fanno per me (troppo concentrati), mentre i rossi che adoro bere io si collocano di solito intorno agli 87-89 centesimi, che, secondo la loro scala di valori, vogliono dire, grosso modo, "bel frutto, ma concentrazione e tannini non troppo elevati", il che per me è l'ideale. Ergo, compro i "loro" vini da 87-89 e bevo benissimo. Ma questo succede solo perché loro assaggiano in solitudine, e dunque so come tarare il mio gusto in base al loro personale giudizio. Questo non potrebbe mai accadere se l'assaggio fosse fatto in gruppo. E dunque non mi servirebbe a nulla, se non a scoprire vini il più delle volte semplicemente tecnici.
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